Eismayer, recensione. L’amore gay nell’esercito è possibile ed è già realtà

Tratto da una storia vera, il film austriaco è sbarcato al Lovers Film Festival di Torino. Presto al cinema con Minerva.

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Vincitore del Gran Premio IWONDERFULL della 37° Settimana Internazionale della Critica all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, Eismayer dell’esordiente David Wagner è sbarcato al Lovers Film Festival di Torino, con distribuzione Minerva Pictures che lo porterà anche nei cinema d’Italia entro fine 2023.

Tratto da una storia vera, Eismayer prende il cognome del sottoufficiale di addestramento più duro e temuto delle forze armate austriache. Un uomo tutto d’un pezzo spietato con le proprie reclute e incrollabile nel far osservare disciplina e ordine. Una sorta di Sergente maggiore Hartman di Full Metal Jacket, ma con una doppia vita. Perché Eismayer è omosessuale, represso, con moglie e figlio a casa. L’arrivo di Falak, recluta dichiaratamente omosessuale, travolge l’esistenza di Eismayer, da sempre convinto che l’idea di amare un altro uomo non sia conciliabile con ciò che dovrebbe essere un soldato modello. Immediatamente Falak diventa suo bersaglio preferito, senza però mai riuscire a scalfirlo, perché coraggioso, orgoglioso, schiena dritto e sguardo alto, fino a quando tra i due non scatta un’inarrestabile attrazione.

È un’opera prima registicamente canonica, quella diretta da Wagner, che prende a piene mani da un universo narrativo più e più volte esplorato in sala. Il cameratismo da caserma, l’omofobia in ambienti militari, la repressione forzata che inevitabilmente comporta costante infelicità. L’unica vera novità in Eismayer è il ribaltamento dei ruoli, perché in questo caso carnefice e vittima non seguono l’immagiario classico.

La giovane recluta bullizzata perché gay è in realtà indistruttibile, fiera di essere soldato omosessuale, tanto da sfidare e provocare continuamente l’istruttore dittatore apparentemente omofobo, visto con fastidio persino dai vertici dell’esercito perché esageratamente duro, ossessionato dalle regole. È lui sia carnefice che vittima, di sè stesso, perché ingabbiato in un personaggio di finzione che trasuda odio nei confronti della vita e della felicità altrui.

Spedito nell’esercito dai genitori proprio perché gay, Eismayer ha provato a ‘guarire’ dall’omosessualità diventando sottoufficiale, sposando una donna che lo guardava come nessuno l’aveva mai guardato, diventando genitore di un bambino che nel finale, con un bellissimo confronto padre/figlio, gli farà capire l’assoluta normalità a cui è sempre sfuggito, per timore di ignominia, di reazioni scomposte vissute in famiglia e mai del tutto elaborate.

Il film di David Wagner, che acquista forza perché i veri Eismayer e Falak, ancora oggi nell’esercito austriaco, si sono uniti civilmente nel 2014, riflette sulla natura dell’amore, dei preconcetti, dell’accettazione altrui e di sè, rimarcando la necessaria utilità del coming out in determinati ambienti lavorativi, ancora oggi segnati da un’omofobia che genera unicamente malessere. Un’opera prima che cavalca l’abusato tema dell’esercito visto solo e soltanto come regno dell’autodisciplina e della mera obbedienza, fino alla virata finale con lieto fine strappalacrime, pagando una certa retorica e un messaggio di fondo ampiamente raccontato e altrove trattato.

 

 



 

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