L’avevamo annunciata come la Mostra del Cinema di Venezia più queer di sempre, e così è stato. La 79esima edizione del Festival passerà alla storia per la straordinaria quantità di pellicole a tematica LGBTQ, con 34 titoli tra Concorso e Fuori Concorso in corsa per il Queer Lion. La fluidità è stata al centro del Lido, insieme al difficile rapporto genitori-figli, con l’identità di genere in tutte le sue sfaccettature a trainare diversi titoli, tra corpi in trasformazione e omotransfobia, accettazione di sé e libertà sessuale.
Mai tanti film LGBTQ erano stati premiati alla Mostra del Cinema di Venezia. Il meraviglioso All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras ha sorprendentemente vinto il Leone d’Oro, 2° documentario di sempre a riuscire nell’impresa. Un’eccezionale omaggio a Nan Goldin, artista di fama internazionale, attivista, regista, fotografa dichiaratamente bisessuale diventata celebre negli anni ’80 in quanto cantrice del sottobosco underground newyorkese e della sottocultura gay della Grande Mela. Una donna che tramutò “l’istantanea familiare e intima” in un genere artistico, in arte fotografica.
Il bellissimo Skin Deep di un poco più che 30enne regista al suo esordio ha meritatamente vinto il Queer Lion. Un horror metafisico nonché una storia d’amore estrema in cui l’autore si è domandato: Si può essere più felici nel corpo di un altro? Ha così preso forma una riflessione transgenere sui confini dell’identità e sulle leggi dell’attrazione attraverso i corpi. Il titolo manifesto di questa edizione tanto fluida. E non è finita qui.
Eismayer ha conquistato la Settimana della Critica, dove il colombiano Anhell69 è tornato a casa con altri tre riconoscimenti. Anche le Giornate degli Autori hanno visto il cinema queer sugli scudi, con i trionfi di Lobo e Cão di Cláudia Varejão e di Blue Jean di Georgia Oakley. The Whale con Brandon Fraser ha invece conquistato il Leoncino d’Oro assegnato da Agis Scuola.
A Venezia abbiamo visto Il Signore delle Formiche di Gianni Amelio, film che ricostruisce il processo ad Aldo Braibanti, nel 1969 condannato a nove anni di carcere per aver ‘plagiato’ un ragazzo maggiorenne, suo studente. Di fatto fu un processo di Stato all’omosessualità. Un film necessario e importante, affiancato in Concorso da Monica di Andrea Pallaoro, in cui una donna trans torna a casa per accudire quella madre malata che l’aveva cacciata di casa proprio perché transgender. Trace Lysette è diventata la prima donna trans protagonista in un film in Concorso a Venezia. Ma non ce l’ha fatta a far sua l’ambita Coppa Volpi, che la giuria capitanata da Julianne Moore ha giustamente assegnato a Cate Blanchett, divina e mostruosa Maestro d’orchestra lesbica in Tar. Indimenticabile anche il Leone per la miglior regia andato a Luca Guadagnino, finalmente tornato a casa con un riconoscimento al 4° tentativo veneziano.
La settima arte da sempre racconta la società, il quotidiano, e in un momento storico come questo, in cui la comunità trans* è sotto attacco concentrico da parte della destra internazionale, il Cinema non poteva far altro che pennellare storie, spaccati di vita, esistenze mai come oggi a rischio. Venezia 79, da questo punto di vista, ne è stata l’emblematica rappresentazione, nella speranza che il più che probabile prossimo governo di destra non voglia portare il Bel Paese sulla strada di Ungheria e Polonia, vietanto i film a tematica LGBTQ perché considerati “indottrinamento” nei confronti dei più piccoli, opere “propagandistiche” da censurare. La crociata contro Peppa Pig potrebbe essere solo l’antipasto di un indigeribile quinquennio.
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.