Aumentano del 315% bambinə e ragazzə che non si riconoscono nel proprio sesso biologico. È quanto emerge dall’attività del Sifip, il servizio per l’adeguamento dell’identità fisica e psichica del San Camillo di Roma. Dal 2018 al 2021 i casi di incongruenze di genere seguiti dal centro sono aumentati del 315%. Lo spiega a Repubblica Maddalena Mosconi, psicologa responsabile dell’area minori che da trent’anni è punto di riferimento nel centro e sud Italia. Dal 2005 il Sifip ha aperto le sue porte anche allə più piccolə.
“All’inizio venivano due o tre famiglie l’anno”, spiega Mosconi alla giornalista Valentina Ruggiu “Poi un aumento graduale fino ad arrivare all’impennata di questi ultimi anni, con un 2022 non ancora concluso e che ha già fatto registrare la presa in carico di 120 minorenni”.
Non si tratta certo di una moda o di un contagio sociale, precisa la dottoressa.
“Essere transgender o gender fluid o non binari non è una scelta”.
Da un lato il Covid con le sue restrizioni ha favorito momenti di solitudine nei quali le persone più giovani hanno iniziato a porsi domande e prendere consapevolezza dei propri profondi disagi. Le reti dei social network oggi contribuiscono a connettere persone che si ritrovano in percorsi e vissuti comuni.
Al contempo è in atto l’innegabile sbriciolamento del costrutto binario su cui la nostra società ha fondato la sua esistenza. Una epocale rivoluzione che è soltanto all’inizio.
“Bisogna formare gli insegnanti – spiega la dottoressa – ma anche pediatri e medici. Ci sono maestre che sgridano i bambini perché giocano con le bambole o perché la bambina, non sentendosi tale, va direttamente nel bagno dei maschietti. Oppure pediatri che dicono ai genitori che se il figlio si comporta da femmina è qualcosa che passerà con il tempo, basta fargli passare più tempo con altri maschi. Sono microaggressioni che predispongono la comparsa, in età adolescenziale, di psicopatologie, tra cui importanti pensieri suicidari, che si aggiungono a quelle già subite eventualmente in famiglia o nella cerchia dei coetanei”.
L’età media di chi bussa allo sportello del Sifip è di 16 anni. Ma alcunə bambinə mettono in discussione il proprio genere già all’eta di 2 anni.
“Bambine che si sentono maschi, bambini che chiedono quando gli cadrà il pisellino perché si percepiscono femmine.”
Ed è “normale perché l’identità di genere si struttura proprio a quell’età” spiega la psicologa. Che sottolinea come la sofferenza rispetto al proprio corpo aumenti con la pubertà e quando, cambiando il corpo, l’angoscia può diventare così forte da indurre a sviluppare l’anoressia pur di bloccare la crescita, sia nei maschi sia nelle femmine.
La soluzione migliore, secondo la psicologa, è intervenire subito per non protrarre la condizione di disagio che può favorire lo sviluppo di disturbi psicologici. Se il disagio viene intercettato, con il consenso dei genitori si può intervenire con i bloccanti ipotalamici che mettono in stand by lo sviluppo. Questo trattamento si fa verso i 12 anni, così la persona ha tempo di capire la propria identità e continuare il percorso parallelo di psicoterapia, senza l’angoscia dei cambiamenti fisici. Poi, a 16 anni, si può iniziare il percorso di affermazione di genere adeguato al caso (se congrua alle esigenze della persona, anche la terapia ormonale).
Per intraprendere questo percorso, è necessario il consenso di entrambi i genitori. Che dunque entrano a far parte del percorso, grazie a sedute familiari affiancate a quelle di gruppo e personali.
Il percorso per gli adolescenti dura sei mesi circa e serve a capire come nel tempo cambi la percezione del genere. “Questo perché a volte i ragazzi hanno una consapevolezza molto chiara, in altri sono ancora in una situazione di confusione e potrebbero avere in realtà un’identità non binaria o gender fluid” spiega Mosconi. C’è la possibilità che si parta dalla domanda “sono femmina o maschio?” per nascondere in verità una sofferenza legata all’identità più in generale. (gf)
Photo by Ramin Talebi on Unsplash
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