Genova non è un’idea come un’altra.
Genova è il porto antico e quello che antico non è, Fabrizio De Andrè, i carruggi, un dialetto mix di mille lingue, i camalli, l’odore del pesce, le signorine di Via Prè, il mare nero che si frange sulle scogliere di Nervi, l’acqua sporca del Bisagno, il “giro” nei giardini sopra la Questura, le coppiette del Monte Righi.
Genova è però anche Via Garibaldi, il suo lastricato e i suoi palazzi, le famiglie di Albaro, le gelatine di Romanengo, le granite di Balilla, le camicie di Finollo, lo struscio di Via Venti e i passeggini su Corso Italia, il gelato di Boccadasse.
E’ su questa contraddizione che darà il meglio di sé il Gay Pride che domani sfilerà a Genova, nella mia Genova.
Tipica di tutte le città, la contraddizione tra bianco e nero, borghese e popolare, angelo e diavolo, fiore e letame – per dirla col maestro Fabrizio -, a Genova è quanto mai stridente.
E sì, perché Genova è anche la città più inglese d’Italia: chiusa come i suoi vicoli, impenetrabile come il suo dialetto ma anche – forse proprio per questo – snob, selettiva ed aristocratica. Dice un ritornello genovese che noi ridiamo poco e amiamo stringere i denti: nulla di nuovo per un popolo abituato a coltivare verdure e viti sulle fasce di terra arrampicate sui monti e a costruire case una sopra all’altra, tra un tornante e l’altro. Un popolo che abita in una città dove lo spazio è così poco che le case si potrebbero anche vendere a centimetro quadrato.
Messe per qualche giorno da parte polemiche e retroscena, oggi è il tempo del Pride e delle nostre bandiere arcobaleno a festa.
La nostra carovana colorata, da tutta Italia, invaderà domani le vie di Genova per ricordare che siamo ancora il fanalino di coda d’Europa in tema di riconoscimento di diritti e di pari dignità: ancora ieri, il nostro Presidente del Consiglio ha fatto l’ennesima battuta sui gay, giusto per non farci mai dimenticare quanta ipocrisia c’è in un paese che riconosce al suo premier il diritto di allestire harem, circondarsi di prostitute e frequentare minorenni e impedisce a una coppia gay di veder riconosciuta la propria unione, a una lesbica di non sentirsi protetta da una legge contro l’omofobia e a una trans di attendere ancora decenni prima di qualche legge più giusta.
Genova – dicevo – non è un’idea come un’altra. Vi invito quindi ad assaporarla, a gustare la storia delle sue vie ed i sorrisi della gente che ci accoglierà.
Mangiate un pezzo di focaccia calda con un bicchiere di latte freddo: di meglio, oggi, ci siamo solo noi, con le vite nostre, dei nostri cari e di quanti ci vogliono un po’ di bene.
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