La Corte Suprema della Bulgaria si è schierata al fianco di una cantante che ha definito i gay “pervertiti”.
Nel 2021, su Facebook, la star punk bulgara Milena Slavova scrisse: “Sono sicura di non sostenere i Pride. Poveri noi, persone normali, che stiamo soffocando per la sfrontatezza e l’ostentazione di pervertiti vari. E no, non mi scuso per le mie parole“. Quel post, pubblicato alla vigilia del Sofia Pride, divenne virale, facendo furore tra i canali di propaganda di nazionalisti estremisti, omofobi, gruppi filo-russi ed euroscettici. Due attivisti LGBTQ+ di Deistvie denunciarono la cantante per discriminazione. Passati due anni è arrivata la sentenza.
Tre magistrati hanno assolto la cantante, stabilendo che la 57enne fondatrice di Review non intendesse arrecare danno alla dignità di una determinata persona a causa del proprio orientamento sessuale. A detta dei tre giudici, le parole di Slavova non mostravano alcuna negazione del diritto all’autodeterminazione dei partecipanti ai Pride.
A darne notizia Euractiv. Secondo la corte, Slavova non ha autorità pubblica ufficiale, né cerca di acquisirne una. Questo le permetterebbe di imporre la propria opinione sulla regolamentazione delle pubbliche relazioni, compreso lo svolgimento dei Pride.
Una discussa e discutibile sentenza che potrebbe spalancare le porte all’insulto pubblico nei confronti delle persone LGBTQIA+. L’anno scorso la Commissione europea ha invitato la Bulgaria a reprimere i comportamenti omobitransfobici. A fine luglio è stata finalmente approvata la legge contro l’omobifobia.
Ad oggi la Bulgaria è uno degli ultimi 5 paesi appartenenti all’Unione Europea a non avere alcuna legge sulle unioni civili o sulle coppie di fatto assieme a Polonia, Romania, Lituania e Slovacchia.
Lo scorso febbraio la Corte suprema del Paese ha posto fine a ogni possibilità di modificare i propri documenti dopo un intervento chirurgico di riassegnazione di genere. Negli ultimi quattro anni il dibattito pubblico in Bulgaria è stato travolto da un’ondata conservatrice, alimentata dalla disinformazione sui social network. Il processo è iniziato con il rigetto della Convenzione di Istanbul nel 2019, con una decisione molto controversa della Corte Costituzionale.
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