Coppia aperta? Non è solo questione di uomini. Un interessante dramma tedesco, Frauensee – Il lago delle donne, diretto da un regista ungherese, Zoltan Paul, affronta questo argomento piuttosto tabù nell’ambiente lesbico e di solito appannaggio delle dinamiche gay maschili. È stato presentato in anteprima europea al Festival Mix di Milano che si sta svolgendo con notevole successo di pubblico al Teatro Strehler (domani sera saranno proclamati i film vincitori).
La caratteristica peculiare di Frauensee è l’immersione totale in un contesto naturalistico di indiscutibile fascino, un grande lago nel Brandeburghese a nord di Berlino, durante l’estate (inevitabile è l’accostamento alle suggestioni visive dell’argentino La Léon di Santiago Otheguy, anche se con minore esotismo). Qui la volitiva Rosa (Nele Rosetz) esercita la professione di guardiapesca e la sua quotidianità consiste nel depositare e recuperare le nasse su una lunga barca lignea con un collega quasi afasico, controllare che i pescatori siano in possesso dei relativi permessi e verificare che non sostino sulla costa campeggiatori abusivi. È fidanzata da un anno e mezzo con la bionda Kirsten (Therese Hämer), architetto di successo che ha trasformato il bungalow in cui vive Rosa sul bordo lago in un elegante gioiello con ariosi arredamenti di tecno-design.
La coppia è in una fase di stallo sentimentale, e la crisi inizia a farsi sentire: quando Rosa le chiede se Kirsten la ama, lei non risponde. L’arrivo di una giovane coppia di donne particolarmente vitali, Evi e Olivia (Lea Draeger e Constanze Wächter), inizialmente male accolte da Rosa perché sorprese a rubare il suo pesce e bivaccare con vietatissimo falò su una splendida sponda lacustre, dà una svolta decisiva al rapporto: Evi inizia a sedurre Rosa senza preoccuparsi troppo di non farsi vedere dalle altre due ragazze che si interrogheranno sulla natura delle loro relazioni. La casa di Rosa diventerà così terreno di confronto su come si può gestire un sentimento in evoluzione per riuscire a orientare la propria storia d’amore verso una reciproca comprensione di bisogni e desideri.
Senza giudizi a priori e riuscendo a costruire un’atmosfera quasi compiutamente ipnotica che isola le ragazze nell’eden paradisiaco (gli unici contatti col mondo urbanizzato sono gli squilli del cellulare dell’impacciato collaboratore di Kirsten e persino il villaggio sembra completamente deserto), il regista riesce a tratteggiare a tutto tondo – seppure con qualche secca narrativa un poco inerziale – il ritratto di due coppie molto diverse ma entrambe alle prese, senza retorica, con la questione dell’apertura della relazione: la più determinata sembra Olivia che giustifica la compagna con cui sta da quattro anni "perché le piace flirtare" ma sa che la storia d’amore funziona poiché "lei sa di aver bisogno di me" mentre Kirsten è categorica sulla negazione di qualsiasi elemento estraneo alla condivisione a due. Ma quando sarà quest’ultima a rivelare l’esistenza di un figlio che non vede da molto tempo, il regista sembra dirci che il vero tradimento consiste soprattutto nell’occultare il proprio passato ‘scomodo’ (e proprio Rosa è particolarmente acuta nell’osservare ‘fisicamente’, soprattutto col binocolo) e che il dramma scaturisce proprio dal mancato scambio comunicativo delle esperienze. E per farlo forse non c’è nemmeno bisogno di parlarsi tanto addosso, come quando nella liberatoria festa finale i dialoghi sfumano sulla musica che prevale sulle parole come dovrebbe fare quella del cuore.
Particolarmente espressive le quattro protagoniste, con un apprezzamento particolare per la malinconica introversione dell’indimenticabile Rose interpretata con una ricca gamma di sottotoni da Nele Rosetz, sottilmente torturata e assai abile nel dare corpo allo spaesamento amoroso.
Frauensee meriterebbe di essere distribuito nelle sale tradizionali.
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