Il ritorno dell’ex-gay

Sostiene di essere guarito dall'omosessualità. Fra poco si sposerà felicemente e avrà dei figli. E tutto grazie ad un corso seguito durante una permanenza negli Stati Uniti. La storia.

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All’inizio di questo 2007 fece discutere molto l’intervista rilasciata al quotidiano La Stampa da Luca Di Tolve, un ex-gay dichiarato. Dopo anni di vita gay smodata e avvilente (che secondo lui lo aveva portato alla sieropositività), sosteneva di essere stato illuminato dai testi di J. Nicolosi (fondatore del NARTH, l’associazione per la cura dell’omosessualità) e R.M. Escriva (fondatore dell’OPUS DEI), di essersi avvicinato a gruppi di guarigione come Chaire e Living Waters (da poco arrivati in Italia), di essere "guarito" dalla sua condizione omosessuale e di essere felice di avere una fidanzata con cui presto si sarebbe sposato e avrebbe avuto dei figli.

Nel frattempo accusava il mondo gay, e in particolare l’associazionismo, di impedire agli omosessuali di capire il loro errore e di intraprendere un percorso come il suo. Luca Di Tolve è di recente tornato a far parlare di sè, grazie ad un’intervista rilasciata poche settimane fa ad una madre dell’Agapo (l’associazione dei genitori e amici delle persone omosessuali, che a differenza dell’AGEDO si propone di sensibilizzare i propri cari al loro "problema" e di convertire il loro orientamento) e disponibile su You Tube.

Ovviamente non si può discutere e commentare questa intervista in poche righe, ma alcune considerazioni preliminari possono offrirci degli spunti di riflessione interessanti. Smontare i suoi discorsi sarebbe facile (persino scontato), e sarebbe altrettanto facile supporre che la sua lotta all’omosessualità sia la conseguenza di un transfert psicologico creatosi per attenuare il senso di colpa nei confronti della propria sieropositività («non sono sieropositivo per colpa mia, ma per colpa dell’omosessualità»).

Sarebbe semplice ritornare a parlare di come la disinformazione, il disagio e l’omofobia interiorizzata degli omosessuali vengono ravvivati e strumentalizzati da persone che, caso strano, finiscono anche per lucrarci sopra (un corso di Living Waters costa intorno ai 150 euro), e sarebbe altrettanto semplice rimarcare che, se una certa elasticità nell’orientamento sessuale può esistere, di certo non può essere controllata a bacchetta.

Quello su cui varrebbe la pena di riflettere di più, però, è il fatto che Luca Di Tolve è il tipico esempio di persona che non ha mai capito che essere omosessuali non vuol dire relazionarsi tramite il sesso smodato e la superficialità dei rapporti. L’omofobia interiorizzata si manifesta anche trasformando stereotipi negativi in stili di vita («i gay pensano solo al sesso, io sono gay e quindi io posso pensare solo al sesso»). Tant’è che, se è vero che Luca Di Tolve è stato negli USA, pare proprio che abbia preferito relazionarsi solo con gli ambienti frivoli e non con quelli impegnati o con le situazioni positive (le tante coppie gay stabili con minorenni in affido, ad esempio, senza contare l’enorme quantità di associazioni gay e lesbiche statunitensi che parlano di tutto fuorchè di sesso).

Se poi fosse vero che i problemi della vita dipendessero tutti dall’orientamento sessuale sbagliato, un buon 90% della popolazione italiana dovrebbe essere composta da ex-etero, ma così non è. Che poi l’Arcigay organizzi solo eventi loschi in locali foschi (quando in realtà ha ben poca influenza sulle scelte dei locali convenzionati) bisognerebbe dirlo alle decine di piccoli comitati che ogni giorno si sforzano di migliorare le condizioni, spesso tragiche, in cui versa la comunità gay delle loro città.

Al di là di tutto questo, però, stupisce il valore simbolico (e abbastanza egoistico) che in questa intervista viene dato alla famiglia, a discapito di un grosso problema di fondo: anche ammesso che Luca Di Tolve ora sia definitivamente etero e monogamo rimane pur sempre sieropositivo. Se, come dice, per affermare la sua nuova identità avrà dei figli e se nasceranno sieropositivi cosa succederà? Tornerà gay a causa di un nuovo senso di colpa? Nell’intervista non dice nemmeno se lui e la sua fidanzata fanno regolarmente il test HIV o se fanno sesso protetto (cosa molto improbabile considerando il clima religioso in cui vivono la loro eterosessualità).

A questo punto la domanda nasce spontanea: i problemi nascono dagli ambienti o dalle persone?

L’intervista a Di Tolve: 1 parte

L’intervista a Di Tolve: 2 parte

di Valeriano Elfodiluce

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