Prima di partire per Stoccolma, due amici mi hanno mostrato il materiale scaricato da Internet e stampato (uno di loro, come me, è devoto alla Parsimonia): informazioni sulla storia della Svezia, sui musei e un’insolita mappa della città ripresa dall’alto costituita di almeno nove fogli incollati, completamente inutile e corredata, per non passare da terroristi, di una scritta STOCCOLMA tutta colorata, tipo finocchie dell’asilo.
In mezzo c’era anche (ovviamente) un elenco dei locali gay: oltre quaranta tra bar e ristoranti e una sola sauna. Non conosco la realtà svedese però ho riflettuto su quanto le guide insistano su posti gay dove difficilmente c’è modo di rimorchiare. Lo avevo già notato in altre città europee che però, tra le centinaia di offerte, ne avevano di stuzzicanti anche per la mia fantasia di turista porcone.
Senza nulla togliere al piacere di sapersi gay anche fuori da contesti sessuali, senza negare le conquiste ottenute, non sputiamo però ipocritamente nell’unico piatto in cui tutti mangiamo. In fondo cosa unisce noi tutti? In che modo possiamo dire, in quanto gay, di appartenere a un ambiente specifico, diverso da quello degli eterosessuali? La mia convinzione si basa sul fatto che siamo tutti attratti da persone del nostro stesso sesso. Di lì nascono infatuazioni, sentimenti, propositi matrimoniali e tutte le direttrici di un’effettiva “cultura” gay, che presenta enormi similitudini in ogni zona del globo. Ma quanto è possibile prescindere dalla radice prima? Ha senso che a una maggiore visibilità corrisponda un’emarginazione del classico rimorchio?
Forse occorre fare qualche passo indietro, Così, nelle guide e nei siti internet sponsorizzati da compagnie di viaggio e grandi firme dell’abbigliamento, oltre a coiffeur e grandi magazzini che pagano le tasse, aggiungiamo quei posti dove non si mangia e non si tirano fuori soldi ma dove è ancora possibile rimediare un rapporto orale al volo. Per chi vuole, ovviamente. Chi non si sente portato può sempre passare il pomeriggio libero dall’estetista e la sera al ristorante cinese.
Di questi luoghi, un tempo detti di battuage, che si vengono formando ancora oggi spontaneamente, mi tengono costantemente aggiornati i miei coinquilini. Chi conosce perfettamente i bagni delle stazioni, chi ha sapientemente esplorato ogni parcheggio, stazione di servizio e piazzuola di sosta del raccordo anulare (purtroppo a me col motorino è più difficile), chi (siamo tanti, lo ammetto) invece mi rivela quante meravigliose avventure si possano vivere sui mezzi pubblici. Sapevo di situazioni ambigue, sguardi furtivi e rimorchi inattesi in metro, sul tram, sui treni.
Ignoravo però che esistesse una linea gay e proprio sotto casa mia (altra perdita causata dal motorino). Credevo fosse solo l’autobus di turisti e viaggiatori e dei pittoreschi zingarelli che li alleggeriscono. Invece pare che su quel famigerato autobus si rimorchi pure.
E’ vero che il mio amico ha l’aspetto della vittima sacrificale e che trova quasi solo persone molto più grandi però almeno una volta al mese ne incontra uno nuovo. Una volta un signore anziano (“vestito per bene”) che gli si avvicina alla coscia e gli tiene il pacco attaccato alle gambe.
Un’altra volta uno che lo fissa e si avvicina un po’ alla volta, approfittando dei sobbalzi e delle curve e poi simula una penetrazione in mezzo alla calca (“Per tutto il viaggio ho fatto finta di niente con lui che continuava a toccarmi il culo e a strusciarsi diventando sempre più duro, finché sono sceso e l’ho lasciato lì. Ma poi l’ho incontrato altre volte”.
Quando decide di starci gli dice male. Uno esplicito lo guarda e con gli occhi indica il proprio cazzo. Lo convince a scendere a piazza Venezia ma, giunti a monte Caprino, gli chiede dei soldi. Avete capito bene. Non gliene offre, glieli chiede. Indignato, il mio amico si allontana.
Infine una sera, mentre aspetta un amico alla fermata, un algerino comincia a girargli attorno. Lui teme il peggio finché non si accorge che questi ha il cazzo di fuori e lo copre col giubbotto. Dopo uno scambio di sguardi sale sul primo autobus e gli fa cenno di raggiungerlo, restando sulla porta col cazzo di fuori. Ma lui non si muove e il mezzo parte con l’algerino dentro. Forse un amico vale più di un cazzo di passaggio. O forse il vero motivo è che quello è salito sulla linea sbagliata.
Flavio Mazzini, trentenne, giornalista, ha deciso di prostituirsi con uomini per raccontare le proprie esperienze nel libro “Quanti padri di famiglia” (Castelvecchi, 2005). Dal 1° gennaio 2006 tiene su Gay.it la rubrica Sesso. Per scrivere a Flavio Mazzini, clicca qui.
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di Flavio Mazzini
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