È l’immagine della classe, dell’eleganza, dell’immortalità. Nel servizio "Forever Cher" pubblicato su Vanity Fair America di dicembre l’ineffabile panterona, vedova Bono, è fasciata in blu cobalto con inserti glitter, procede imperiosa in una strada secondaria non meglio identificabile circondata da cinque uomini divini, in papillon, guardie del corpo e/o amanti, amici e/o colleghi di lavoro. Non appena si materializza sul grande schermo, al Torino Film Festival, parte un miniapplauso, giusto per rodarsi. Siamo in pieno "Burlesque", musical glitter e strepitosamente camp diretto da Steve Antin, in cui la Regina paillettata si chiama Tess, come l’omonimo film di Polanski, e sceglie una giovinetta di belle speranze, molto determinata ma un po’ ingenuotta sentimentalmente, la biondina Ali, ex cameriera di provincia, una scatenata Christina Aguilera davvero virtuosa in alcuni acuti da brivido.
Ma l’irresistibile barman Jack (Cam Gigandet, sublime) si innamora di lei e turba i sottili equilibri del Burlesque Lounge, a rischio chiusura se non arriva presto un bel malloppo di soldi. Così Tess è sull’orlo di una crisi di nervi, ed essendo piuttosto sospettosa nei confronti dell’ambiziosa Ali, la tensione nei camerini sale: meno male che c’è il fedelissimo braccio destro Sean, uno strepitoso Stanley Tucci nuovamente gay dopo "Il diavolo veste Prada", e il cassiere/ballerino Alexis (Alan Cumming, teatralmente perfetto), vere colonne del locale. Ma un nuovo paio di strepitose Louboutin argentate farà decollare animi e speranze.
Da spanciarsi la scena in cui Sean si ritrova a letto con un ragazzo di cui non vi sveliamo il nome ma entrambi non sanno come si chiama l’altro.
Chi si aspetta un musical ben fatto, dalla fotografia curata e dal ritmo pop-dance, non rimarrà deluso: non c’è però spazio per lo strip al femminile di burrose spogliarelliste prorompenti.
È invece una stupidata tediosa l’altro film scandalo col lanciato François Sagat, ossia "Homme au bain" del sopravvalutato Christophe Honoré: 72 minuti che sembrano due ore di smancerie e giri a vuoto di un ragazzo che, mollato dal fidanzato bruttino e stronzetto, si scatena in rapporti occasionali, a pagamento e non, per nulla eccitanti e ripetitivi. L’autopsia del desiderio, purtroppo lontano dalle intriganti atmosfere di Walter Siti, ha un’ossessione precisa: la chiappa maschile. Così, Sagat ci dà dentro come un capretto mentre un terzo legge al computer una frase del Cardinal Bertone che accosta pedofilia e omosessualità; mostra il deretano a una poverina che ha bisogno di un uomo; depila il sedere a un ricciolino conosciuto per strada; fa pipì annoiato senza mostrare il batacchio mentre lo sventola a un vicino di casa non più giovane facendo vedere le perfette pesche noci gonfiate in anni di palestra (o anabolizzanti?) allo spettatore già in coma vigile. Chiara Mastroianni appare in immagini quasi amatoriali mentre presenta un film a New York e ozia in un bar.
Una bufala inguardabile.
Uno dei titoli migliori di questo festival arriva dall’Inghilterra ed è "Neds" di Peter Mullan (Magdalene). Neds sta per "Non Educated Delinquents" e si riferisce a una gang giovanile di Glasgow, nei primi anni Settanta, dove un piccolo genio, John McGill, diventa un criminale per seguire l’esempio del fratello e sulle orme del padre alcolizzato e violento. Senza essere didascalico né didattico, Mullan radicalizza il problema dell’educazione di ragazzi ‘difficili’ attraverso un percorso esemplare che riconduce alla famiglia il dramma primario dell’incomunicabilità con gli insegnanti troppo severi o, al contrario, troppo permissivi. Uno degli allievi, bravissimo, è visibilmente gay e il finale di Neds è da lacrimoni.
Vince il festival un buon thriller americano sullo stile di "Frozen River" e ambientato nei boschi del Missouri, già trionfatore al Sundance, "Winter’s Bone" di Debra Granik, su una figlia coraggio con madre catatonica e due fratelli piccoli, alla ricerca del padre criminale che deve presentarsi in tribunale sennò tolgono loro la casa.
Ottima sceneggiatura e splendida protagonista femminile, Jennifer Lawrence, ventenne del Kentucky di cui già si parla di nomination all’Oscar. Anche qui non manca la virata splatter con tanto di mani di un cadavere mozzate con la sega elettrica in una palude e uno scoiattolino scuoiato davanti a due bambini.
Gran festival, il secondo di Gianni Amelio con i dovuti distinguo per questione di proporzioni, rispetto a Cannes e Venezia di quest’anno ma con un sistema di accesso alle sale da rivedere.
Hanno trionfato l’horror e la follia, in tutte le salse e il sesso esplicito soprattutto gay, con molti film sulla desolazione contemporanea, la crisi economica e sociale dell’Occidente e il bisogno di creare gruppi – anche queer – per sfuggire all’indigenza e all’isolamento culturale.
Le star omosessuali di quest’edizione sono state il tatuatissimo regista-dj Bruce Labruce che ci ha concesso una lunga intervista esclusiva e il feticcio ultrasexy amato da uomini e donne, il titano porno François Sagat che a Torino non si è visto ma resta uno dei più scaricati su Internet.
Il direttore Gianni Amelio, soddisfatto per il 15% in più di presenze, vede scadere il suo contratto che verrà quasi sicuramente rinnovato.
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