Zebedee Management nasce nel 2017 e viene fondata da Zoe e Laura. La sua particolarità è quella di rappresentare talent con disabilità, della comunità LGBTQIA+ e con “visible differences”. Un’agenzia, una community, una famiglia. Insieme per promuovere e diffondere un messaggio di inclusività sincero e onesto. Per raccontare completamente quello che è il mondo di oggi, composto di tantissime persone: tutte diverse e tutte uniche. Che però non erano mai state raccontate. Oggi Zebedee Management rappresenta 500 talent tra cui la nota modella Ellie Goldstein, volto di Gucci Beauty. Noi abbiamo fatto una chiacchierata con Dominic Browning, head of men and LGBTQIA+ talent di Zebedee Management, e questo è quello che ci ha raccontato.
Raccontaci che cos’è Zebedee Management…
Zebedee Management è una talent agency che ha l’obiettivo di rappresentare nel mondo dei media tutte quelle persone che non vengono mai raccontate. Rappresentiamo personaggi con disabilità, “alternative appearances”, della comunità LGBTQIA+ e minoranze etniche.
Siete una delle prime agenzie inclusive. Qual è stata la reazione da parte delle aziende e da parte dei talenti? È stato difficile creare una realtà come questa?
Tutto sommato la reazione è stata molto positiva. All’inizio, nel 2017, quando abbiamo fondato l’agenzia, c’è stata un po’ di perplessità, ma questo lo avevamo dato per scontato. Oggi siamo come una grande famiglia, abbiamo sempre cercato di creare un ambiente amichevole, sia per i nostri clienti sia per i nostri talent.
E chi sono i vostri clienti?
Lavoriamo molto con il mondo del lusso, con brand commerciali, ma sosteniamo anche piccoli progetti! Lavoriamo moltissimo anche con i casting director e con varie case di produzione. I brand di spicco con cui abbiamo lavorato, ad esempio, sono Disney, Burberry, Netflix, Youtube, Gucci, Fenty x Savage e Nike.
Questo grande successo è la prova che un’agenzia come la vostra era ed è necessaria…
Assolutamente sì. Ogni campagna che facciamo, soprattutto legata al mondo fashion, ha sempre ricevuto un feedback positivo. E questo significa che il consumer è pronto a vedere una rappresentanza nel mondo dei media diversa, più vera. Il periodo della pandemia per i nostri talent in realtà è stato molto positivo. Questo perché tutto era più accessibile e loro hanno avuto modo di essere presi in considerazione per ruoli che prima uno si sognava.
Non rappresentate solo persone con disabilità, con “alternative appearances” o che fanno parte della comunità LGBTQIA+. Rappresentate anche le famiglie. Come è nata questa idea di famiglia e di realness?
Tutte le famiglie che rappresentiamo sono dei nostri talent. Durante la pandemia abbiamo fatto moltissime ricerche su questo tema, anche perché è stato un periodo in cui molte famiglie si sono ritrovate chiuse in casa per un lungo tempo. Cosa che magari prima accadeva raramente. E quindi l’idea di rappresentare le famiglie è venuta naturale. E sta avendo anche moltissimo successo!
Rappresentate circa 500 talenti, tra cui Ellie Goldstein. Qual è stata la vostra reazione quando è diventata volto di Gucci Beauty? Insomma è stata la prima modella con sindrome di Down a diventare testimonial del brand fiorentino.
In termini di forza mediatica questa è stata sicuramente la campagna di maggior successo. È stato meraviglioso vedere Ellie catapultata nel mondo delle celebrità. Ma ci piacerebbe vedere altri brand seguire le orme di Gucci. Inoltre da quando le campagne sono diventate più inclusive e vere sono anche più belle.
Avete mai avuto il dubbio che qualche maison o azienda stesse scegliendo un vostro talent solo perché ora sta esplodendo il trend inclusività? Un po’ come è stato per il tema green. Come avete gestito questa situazione, se è capitata.
Ogni nostro lavoro aggiunge voce alla campagna “Inclusion Revolution”. Quando un talent con alcune disabilità o “difference” viene scelto per una campagna, allora è lì che il mondo si accorge di lui. Fare un casting inclusive, però, non può e non deve essere un avvenimento singolo: una X sulla lunga lista delle cose da fare per essere visti dai clienti come inclusivi. È necessaria la costanza, bisogna raccontare continuamente l’inclusività. Allora, in quel caso, un brand potrà definirsi veramente inclusivo e non perché lo ha fatto una volta sola.
Pensi che per la moda questa sia solo una fase oppure è veramente cambiata ed è più inclusiva?
Credo che la moda sia cambiata positivamente, ma credo che lo abbia fatto perché la società è cambiata. Oggi l’auto-accettazione e l’espressione di sé sono i cuori pulsanti della nuova Generazione. E l’industria della moda segue l’evoluzione della società. Ciò che era perfetto negli anni ‘90 oggi non lo è più, e nessuno guarda più al quel modello di bellezza.
Ma il mondo della moda o altri business possono fare ancora qualcosa?
Lloyds Banking Group ha fatto un interessante studio e da questo si evince che solo lo 0,06% delle pubblicità sui media includevano persone con disabilità, che il 65% del pubblico inglese si sentirebbe più vicino a un marchio che cerca di rappresentare tutta la società e che il 20% del pubblico britannico ha una disabilità. Quindi sì! Guardando questi numeri la strada da fare è ancora molta. Il 20% del pubblico britannico ha una disabilità e la loro rappresentanza sui media è dello 0,06%.
Avete creato Zebedee Management perché volevate vedere più persone con disabilità, “alternative appearances” e della comunità LGBTQIA+ sui media. Perché se sono sui media la società può accettarli e diventare così “normale”. Tu credi che questo, oggi, sia “normale” per la società?
È vero, hai ragione. Una volta che si arriva sui media, arriva anche l’accettazione da parte della società. Per questo è importante rappresentare ciò che è diverso, ma che non è solo la forma, l’etnia o l’aspetto di una persona. La diversità è quella sfumatura unica dell’essere umano che lo rende perfetto. La parola “normale” dovrebbe essere una parola tabù ed è la causa di molti dissapori nella società e nella moda. Perché alla fine cosa è normale? Quando diventeremo una società realmente inclusiva, allora molti problemi svaniranno. Ma i numeri dicono altro, quindi la strada verso la vera inclusività è lunga.
E in tutto questo dove mettiamo la politica e i Governi? Loro possono aiutare? Esistono le categorie protette nel mondo del lavoro, ma è sufficiente?
Sicuramente i Governi possono fare di più e introdurre nuovi disegni di legge più inclusivi. Per quanto riguarda il marketing e il mondo delle adv, purtroppo spetta all’azienda decidere. Sarebbe veramente complesso introdurre obblighi di rappresentanza per le pubblicità. La scelta del talent è solo una scelta etica, e per questo la nostra agenzia è così importante.
Cosa vorreste vedere nel futuro della moda e della società?
Dalla nostra fondazione, nel 2017, la moda ha fatto enormi passi in avanti. Ma abbiamo ancora alcuni ostacoli da superare. Vogliamo lavorare con ogni azienda e brand. Vogliamo essere una delle agenzie di riferimento. Vogliamo che il 20% di tutti i media rappresentino tutte le comunità. Vogliamo che i grandi fashion magazine riconoscano le persone con disabilità e che le mettano in copertina. E noi dobbiamo essere la loro agenzia!
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.