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“Noi attori trattati come macchine”, Tiziano Mariani dal cinema all’ascetismo: intervista

“Ora faccio una vita più lenta, meno frenetica, mi sento un essere umano e non una macchina”. L’attore parla a Gay.it della sua nuova vita.

6 min. di lettura
tiziano mariani attore cinema

La natura, l’isolamento, il contatto con le cose semplici. Il covid-19 ha portato molta gente a scegliere i borghi, i piccoli centri, le campagne per depurarsi dagli sconvolgimenti causati dalla pandemia. L’attore Tiziano Mariani, sembra aver raggiunto un proprio equilibrio attraverso una scelta netta, l’isolamento dal mondo per difendersi dalla negatività della città, coi suoi malumori e le sue tensioni sociali.

Mariani che ha le spalle svariati film (In nomine Satan, Mind the end, Venere è un ragazzo, Australian Dreams) e spot pubblicitari di successo, ha deciso di ponderare le proprie scelte artistiche a favore di una vita ritirata e composta. Tra ritiri spirituali e meditazioni in aperta campagna, l’attore che insegna yoga, con alle spalle una laurea in scienze motorie senza rinunciare al sogno del cinema.

Abbiamo intervistato Tiziano per parlare della sua nuova vita.

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Cosa ti ha disturbato – e ti disturba – del mondo del cinema o della “fama” in cui eri immerso?

C’è una visione della figura dell’attore spietata che non tiene conto del fatto che siamo degli esseri umani. Veniamo trattati come delle macchine in balia di scelte umorali, a volte veniamo illusi sull’ottenimento di una parte che non otterremo mai.

Il cinema italiano è una casta che non dà a tutti le stesse possibilità e invece dovrebbe farlo mettendo al primo posto il talento. Un mio amico e collega qualche anno fa si è suicidato perché era stanco di questo meccanismo spietato di perenne attesa che vivono gli attori.

Il regista Giuseppe Sciarra tempo fa scrisse un post molto interessante a riguardo: ‘Bisognerebbe per legge imporre nei film alle grandi produzioni cinematografiche italiane un numero di attori esordienti per i ruoli principali da affiancare a volti più noti. Forse solo così riusciremmo a vedere facce diverse nel cinema italiano.’ Ecco io vorrei che il cinema italiano facesse questo. Darci una possibilità, vera.

Da quale prospettiva di te sei scappato? Cosa saresti diventato continuando con la vita precedente?

Per anni ho inseguito provini e puntualmente mi sentivo frustrato. Ho sempre messo al primo posto la mia professionalità e invece mi veniva chiesto di partecipare a feste, puntare sul mio aspetto per strizzare l’occhio a certe persone e avere determinate possibilità. Mi sono sempre rifiutato perché sono un attore che si impegna nel fare bene il suo lavoro e vuole fare quello, non il party boy.

Il vedere che nulla si sbloccava e che certe situazioni erano sempre le stesse mi ha fatto sprofondare per anni in un’inquietudine che a volte sfociava nell’alcool. Un giorno ho fatto un brutto incidente in cui ho rischiato la vita, era da poco che avevo perso mio padre e l’ho visto come un campanello d’allarme, mi stavo buttando via. Dovevo reagire altrimenti non valeva più la pena vivere.

Quali sono le tue abitudini quotidiane da quando hai lasciato la città e vivi nella natura dei Castelli Romani?

La mia abitudine principale è l’ascolto della natura, siamo nati liberi e liberi lasceremo questa esistenza. Nella natura c’è l’essenza della nostra esistenza. Basta essere in mezzo ad un bosco, in montagna o su una spiaggia per sentirsi appagati, non trovi?

C’è qualcosa di mistico nel contatto con la natura. Diceva Pirandello, un autore che amo molto: ‘La natura non è chiara la natura è caos, ma in questo caos l’uomo si rispecchia e si annulla, placando finalmente il suo strazio’.

Cosa vuol dire per te solitudine?

Una grande occasione di rinascita. La solitudine ti costringere a convivere con la Noia. Questo sostantivo nei tempi attuali ci spaventa e tentiamo in tutti i modi di scacciarlo come fosse qualcosa di estraneo da noi. Invece la noia fa parte di noi, dobbiamo accettarla e conviverci. La noia ci fa domandare il perché siamo passivi o non reagiamo di fronte a un problema o a uno stato depressivo.

La solitudine è un’occasione per migliorare, l’isolamento invece è pericoloso, purtroppo la pandemia ha messo a dura prova molti di noi che presi dalla paura per il prossimo si sono isolati e son caduti purtroppo in stati depressivi.

Come tu stesso scrivi, provi quotidianamente ad affrontare un percorso ascetico. Come ci riesci?

Attraverso una pratica scrupolosa e quotidiana dello yoga. Ogni giorno pratico questa disciplina per acquietare la sofferenza che abbiamo tutti da quando siamo al mondo. In determinati periodi in cui lo ritengo necessario faccio anche delle diete scrupolose e, a volte, anche dei digiuni. Vivere senza cibo per uno o due giorni ti dà un senso della realtà diverso, percepisci il mondo nella sua essenzialità, le cose materiali perdono importanza e come se il digiuno ti prosciugasse dai desideri e ti strappasse dal volto ‘il Velo di Maya’, che sarebbe tutto ciò riconducibile all’illusione. A quel punto la vita è senza maschere, tutto raggiunge un altro scopo. Anche il modo di soffrire e gioire cambia, non è inquinato dal consumismo, è puro.

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Quali compromessi hai accettato decidendo di “allontanarti dalla società”? Hai dei rimpianti?

Non ho accettato alcun tipo di compromesso. Non mi pesa vivere così, soprattutto in questo turbolento periodo storico. Mi sento protetto nei piccoli borghi e centri di Italia, a riparo dal caos urbano, dalla rabbia delle persone.

Vedo tanta cattiveria in giro. Siamo degli animali in gabbia pronti a azzannarci a vicenda. Non mi piace questo aspetto che sta emergendo di noi negli ultimi anni.

Quali benefici invece?

Nei boschi dei castelli io mi sento connesso con il nostro inconscio collettivo. Lo yoga e la meditazione trascendentale ti danno una maggiore consapevolezza di chi siamo come collettività e non solo come individui, ti fanno sentire maggiormente a contatto con la terra e la sua storia.

Trovo affascinante conoscere chi siamo stati e chi possiamo diventare attraverso la storia dei luoghi, dei piccoli centri italiani. Qui a Genzano faccio una vita più lenta, meno frenetica, mi sento un essere umano e non una macchina. Respiro in tutti i sensi. Sono presente a me stesso. Le mie riflessioni non sono deviate dalle frustrazioni del mestiere di attore o dalla vita urbana affannosa e poco propensa a far vivere alle persone la propria umanità.

Credi che la tua decisione sia una fase dovuta a un’esasperazione della vita precedente e alla difficoltà di “sfondare” nel mondo del cinema o pensi sia una scelta definitiva?

Non è assolutamente una scelta definitiva, ma sarà una scelta frequente tutte le volte che lo riterrò necessario per depurarmi dallo stress di questo lavoro che amo alla follia ma che non può chiedermi in cambio la mia vita.  Cosa che è successa al mio amico che a un certo punto ha deciso di dire basta a un mondo del cinema che illude e ti ruba una parte di te senza dare nulla in cambio.

Penso anche all’attore Paolo Callisano ma anche a tanti altri che non hanno neanche assaggiato il successo ma potevano benissimo farlo essendo idonei. Ci sono moltissimi artisti di talento ai quali si può dare una possibilità. Provo una profonda tenerezza e compassione verso i tanti attori come noi che hanno bisogno di essere riconosciuti per il loro mestiere. Il nostro è un lavoro, merita rispetto anche all’interno dell’ambiente del mondo dello spettacolo perché a volte se non sei un nome ‘grosso’ sembra che essere attori non sia nulla di che.

Cosa faresti per migliorare il sistema da cui ti sei allontanato?

Quello che sto facendo adesso, parlerei pubblicamente del vuoto che può creare in chi fa questo mestiere, della mancanza di rispetto e sostegno. Essere un attore è una professione a tutti gli effetti che va maggiormente regolamentata e riconosciuta dalle istituzioni che sembrano relegarci a un ruolo marginale della società vedendoci come dei parassiti.

Come riesci a unire la tua passione per il cinema con la vita appartata e fatta d’isolamento?

Due mie cari amici registi, Giuseppe Sciarra e Andrea Natale mi tengono connesso a questo mondo coinvolgendomi spesso nei loro lavori. Abbiamo scritto la sceneggiatura di un film tratta da un corto di successo di cui voi stessi avete parlato (Venere è un ragazzo). Essere sceneggiatore con degli amici che come me amano il cinema e lottano per affermarsi mi ha fatto scoprire il potere della scrittura facendomi sentire meno solo.

Fare lo sceneggiatore e cercare qualcuno che produca il nostro film mi rende più attivo e meno succube degli eventi rispetto alla mia professione di attore. Inoltre il mio amore per la meditazione trascendentale mi ha portato con Giuseppe Sciarra e il fotografo Enrico Manfredi Frattarelli a realizzare una video istallazione su questa antica disciplina che speriamo in futuro di poter portare in giro, si chiama ‘Luce Vedica: delle meditazioni trascendentali’.

Anche questa cosa mi dà la carica e mi rende collegato a un mestiere, quello dell’artista, che non abbandonerò mai nonostante le intemperie che siamo costretti a vivere in un paese che non ci prende sul serio. Inoltre essendo laureato in scienze motorie ed essendo insegnante internazionale di Yoga, ho molto lavoro da fare con delle persone da seguire sia fisicamente che spiritualmente, inoltre collaboro fisicamente con diversi centri sportivi della capitale facendo anche lezioni di gruppo.

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