La recensione di oggi riguarda un libro molto bello. Un romanzo che ho apprezzato così tanto da leggerlo tutto d’un fiato. Si tratta di La Memoria del corpo di Carlo Deffenu (Alter Ego Edizioni, 2018). Non è una nuova uscita (sono passati quasi tre anni dalla sua pubblicazione), tuttavia un romanzo come questo, che tratta a fondo il problema dell’omofobia, rischia di rimanere attuale ancora a lungo. Soprattutto – e mi dispiace dirlo – in Italia, dove il DDL Zan fa fatica ad arrivare in Parlamento e una larga parte dell’opinione pubblica stenta a capirne la necessità.
Trama
Elsa, la protagonista, è la madre di Sebastiano. È la madre di un figlio morto. Ucciso. Sono stati l’odio e la cattiveria, l’ignoranza e la crudeltà a portarglielo via. È stata l’omofobia, proprio lei. E ora Elsa vuole giustizia. Anzi, vendetta. Perché sì, ancora una volta, quando fa del male a qualcuno, quando uccide, l’omofobia lo fa nella maniera più spregevole e vile. E la vendetta è l’unico sentimento in grado di riflettere il calvario dei congiunti.
Elsa non sa chi abbia fatto scempio del corpo di suo figlio. La polizia brancola nel buio quanto e più di lei. La storia che Sebastiano aveva col suo attuale ragazzo, Michele, era complicata da fattori esterni, questo lo sapeva bene, ma ciò non prova nulla. Nemmeno quel particolare che Michele stesso, non volendo, le ha rivelato per telefono è una prova, al limite solo un indizio. Un indizio che per Elsa si trasforma però in forte sospetto quando su internet riesce ad allacciare i contatti col presunto assassino di suo figlio. È allora che capisce che deve fare tutto da sola, scoprendosi decisa a partire in pullman per Cagliari pur di portare a termine l’unica cosa per la quale ormai vive.
Durante il viaggio, Elsa si immerge nella rilettura del suo diario. Ha iniziato a scriverlo per elaborare il lutto su consiglio della psicoterapeuta, e in esso la donna ha raccontato la sua storia insieme a Sebastiano. Il primo ricordo è di quando suo figlio, a sette anni, con tutta l’innocenza che un bambino di quell’età può avere, grida di essere gay e di voler sposare il protagonista della sua serie tv preferita. Elsa rimane trafelata, ma decide comunque di minimizzare: Sebastiano è solo un bambino e non sa quello che dice. Gay? È assurdo solo pensarlo! A quell’età non si può sapere chi si è né cosa si vuole dalla vita.
A questo pensa Elsa per darsi forza nei giorni che seguono, eppure una parte di sé rimarrà per sempre incastrata in quella giornata, iniziata apparentemente come tante altre. Solo l’effettivo coming out di Sebastiano, a diciassette anni, la libera definitivamente dal dubbio. La verità tanto temuta è infine giunta, eppure non fa più male dell’incertezza nella quale è vissuta fino a quel momento. Il suo amore per il figlio non è mai stato in discussione, e mai lo sarà.
Analisi
La memoria del corpo è un romanzo davvero sorprendente. I suoi punti di forza sono molteplici e Carlo Deffenu ha saputo valorizzarli uno a uno. La storia procede avanti e indietro nel tempo seguendo il viaggio di Elsa in pullman e quello che la donna compie nella sua memoria. Il lettore si ritrova così non una, bensì due volte incuriosito: vuole infatti sapere cosa farà Elsa, ma anche quale è stata la vita di Sebastiano, e tutto questo lo spinge a proseguire nella lettura come se avesse due motori. Difficile staccarsi dalle pagine di questo libro anche per la scrittura di Deffenu: piacevole, lucida, modulata e mai banale nelle scelte lessicali o stilistiche.
L’omofobia – il tema portante del romanzo – viene raccontata nella sua veste più cruda. Le reazioni che suscita superano lo schifo e lo sdegno (comunque presenti e ineludibili, com’è naturale che sia) e innescano qualcosa di molto più puro e prezioso: la voglia di mettersi in gioco, di uscire dal guscio e di vivere la vita per quella che è. Così com’è. La risposta migliore che si può dare all’omofobia è proprio questa, e Carlo Deffenu la fornisce non solo fra le righe. Viverla, questa vita. Appieno, fino in fondo. Viverla con sé stessi e per sé stessi. E anche per chi non avrebbe voluto che questo, ma non ce l’ha fatta.
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