Per cambiare sesso all’anagrafe non è più necessario sottoporsi ad un intervento chirurgico: lo ha deciso la Corte Costituzionale in una sentenza depositata ieri (relatore il Giudice Giuliano Amato, ex Presidente del Consiglio) che mette la parola fine alla tematica, dopo i verdetti favorevoli di diversi tribunali e la decisione della Corte di Cassazione del luglio scorso. La decisione della Corte va incontro ad una richiesta “storica” delle associazioni delle persone transessuali, che giustamente da tempo pretendevano un cambiamento definitivo – attraverso la legge o la giustizia – delle norme che le costringevano a sottoporsi a delicati ed invadenti (perchè mutilativi) interventi chirurgici per poter cambiare il proprio sesso all’anagrafe. E, come al solito, il cambiamento tanto atteso è arrivato prima dalla magistratura che dalla politica.
Il caso che è approdato alla Corte costituzionale è stato sollevato dal Tribunale di Trento, in relazione alla vertenza di un transessuale FtM, donna alla nascita, che aveva chiesto il riconoscimento di una nuova identità maschile, ma senza doversi sottoporre necessariamente a un intervento ai genitali. Nel dicembre scorso era intervenuta anche la Presidenza del consiglio, con un parere dell’Avvocatura generale vidimato dall’allora sottosegretario Graziano Delrio, favorevole alla posizione dell’interessato.
La Consulta è stata chiamata a interpretare la legge 164 del 1982 sul cambio di sesso, che i giudici italiani avevano sempre tradizionalmente applicato imponendo alla persona transgender l’obbligo di operarsi come prerequisito per ottenere la rettifica all’anagrafe. Ma poi, negli ultimi anni, sono intervenute le sentenze di alcuni tribunali – Roma, Siena, Rovereto, Messina – e quella della Cassazione , del luglio scorso, relativa alla richiesta di Sonia Marchesi, transgender piacentina che si era vista rifiutare il nuovo documento prima dal tribunale di Piacenza e poi da quello di Bologna.
Scrive la Consulta nella sentenza: “Interpretata alla luce dei diritti della persona ‒ ai quali il legislatore italiano, con l’intervento legislativo in esame, ha voluto fornire riconoscimento e garanzia − la mancanza di un riferimento testuale (nella legge del 1982, ndr) alle modalità (chirurgiche, ormonali, ovvero conseguenti ad una situazione congenita), attraverso le quali si realizzi la modificazione, porta ad escludere la necessità, ai fini dell’accesso al percorso giudiziale di rettificazione anagrafica, del trattamento chirurgico, il quale costituisce solo una delle possibili tecniche per realizzare l’adeguamento dei caratteri sessuali”. Ed ancora: “L’esclusione del carattere necessario dell’intervento chirurgico ai fini della rettificazione anagrafica – prosegue il testo redatto da Giuliano Amato – appare il corollario di un’impostazione che – in coerenza con supremi valori costituzionali – rimette al singolo la scelta delle modalità attraverso le quali realizzare, con l’assistenza del medico e di altri specialisti, il proprio percorso di transizione, il quale deve comunque riguardare gli aspetti psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre l’identità di genere”.
Va anche sottolineato che questa nuova e più moderna interpretazione della legge non permette – come era stato dichiarato da alcuni oppositori all’indomani della sentenza della Cassazione – di “svegliarsi la mattina e cambiare sesso“, perché comunque la concessione del cambio all’anagrafe rimane prerogativa del giudice. L’immancabile Carlo Giovanardi nel luglio scorso aveva parlato ad esempio di “sentenza abnorme”, che permetterebbe a una transessuale famosa come Efe Bal, “all’anagrafe uomo e sposata con una donna, di potersi iscrivere all’anagrafe come donna, e nel futuro magari di nuovo come uomo”. Non sarà così, perché la persona dovrà sempre e comunque compiere un percorso sanitario e amministrativo, verificato dallo Stato, che poi la porterà all’agognata modifica. Solo che non le verrà più imposto l’intervento chirurgico. Spiega infatti la Consulta: “Rimane così ineludibile un rigoroso accertamento giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto e del suo carattere definitivo. Rispetto ad esso il trattamento chirurgico costituisce uno strumento eventuale, di ausilio al fine di garantire, attraverso una tendenziale corrispondenza dei tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza, il conseguimento di un pieno benessere psichico e fisico della persona”.
Il trandgender trentino era stato affiancato nella sua battaglia da diverse associazioni Lgbti: Mit, Onig, Associazione Radicale Certi Diritti, Libellula, la Fondazione Gic, la Rete avvocatura Lenford. Che adesso esprimono soddisfazione per la sentenza della Consulta.
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