In balia delle scelte del governo, dei genitori, delle equipe che si occupano di affermazione di genere, ai molti minori transgender non resta che attendere e sperare. Purtroppo, non sempre le cose vanno per il verso giusto.
Ce lo insegna la storia di un ragazzo transgender, fulcro a suo malgrado di una feroce battaglia giudiziaria tra i suoi genitori. Mamma supporta il suo percorso di transizione, papà no. E così, un anno di attesa si trasforma in due, poi tre. Fino a quando la triptorelina non è più efficace.
Il ragazzo ha quasi 14 anni quando si sente pronto a intraprendere il proprio percorso di affermazione di genere, ben consapevole del lungo e intricato iter medico-giuridico a cui va incontro.
Un iniziale percorso terapeutico indirizza la famiglia al Careggi di Firenze – centro di eccellenza per le terapie di affermazione, recentemente oggetto di una faziosa ispezione indetta dal governo – e da questo momento in poi, il ragazzo viene seguito da un’equipe specializzata in affermazione di genere composta da psicologo ed endocrinologo.
Gli specialisti consigliano la triptorelina, farmaco bloccante della pubertà con effetti del tutto reversibili, utilizzato per concedere a minori transgender e gender non conforming un po’ più di tempo per esplorare la propria identità di genere. Per iniziare la terapia, tuttavia ci va il consenso di entrambi i genitori. E qui iniziano i problemi.
A un anno dall’inizio del suo percorso di affermazione di genere, il ragazzo deve già interromperlo. Il padre ha cambiato idea, e tra i due genitori si accende un conflitto in merito alle scelte sanitarie riguardanti il figlio.
“Il padre ha dato il consenso in un primo momento, e in un secondo momento l’ha negato, generando grande dolore e confusione nel figlio” – racconta Cristina Polimeno, avvocata incaricata di seguire il cambio d’identità anagrafica, ad Open.
Secondo quanto confermato da entrambe le parti, il padre si opporrebbe a qualsiasi tipo di terapia medica o farmacologica – non si tratta quindi di transfobia vera e propria.
A prescindere dalle motivazioni, tuttavia, il percorso si interrompe bruscamente: senza il consenso di entrambi i genitori, la triptorelina non può essere prescritta. Da qui, il ricorso in tribunale presentato dalla madre.
“Nel 2022 – prosegue Polimeno – arriva l’udienza e il giudice, dopo aver confrontato le argomentazioni dei genitori e sentito il minore, accoglie il ricorso della madre”.
Peccato che sia già troppo tardi. A 17 anni, la pubertà femminile ha già fatto il suo corso, e la triptorelina risulta inutile. Il ragazzo ha già dichiarato l’intenzione di sottoporsi al più presto a mastectomia – la rimozione del seno. Un intervento invasivo che sarebbe stato evitabile grazie ai bloccanti della pubertà.
“Come hanno sottolineato le società scientifiche italiane – spiega Rosario Coco, presidente di Gaynet, in merito alla vicenda – a causa dello stigma sociale e istituzionale e del disagio fisico, le persone adolescenti transgender e gender diverse, cioè con varianza di genere, sono una popolazione più vulnerabile dal punto di vista psicologico, con un rischio più elevato, scientificamente ben documentato, di sviluppare ansia, depressione, abbandono scolastico, isolamento sociale, mancata relazione tra pari, sino ad arrivare ad atti di autolesionismo e suicidio”.
La ricerca scientifica mostra che fino al 40% dei giovani transgender e di genere diverso fa i conti con tentativi di suicidio, come evidenziato nello studio di James SE e collaboratori presso il National Center for Transgender Equality del 2016. Tuttavia, l’impiego della terapia con triptorelina si è dimostrato in grado di abbassare questo rischio del 70%, secondo quanto riportato da Turban JL e il suo team su Pediatrics nel 2020.
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