«Per Maria essere trans è, tipo, c’è questa menata che mi devo smazzare, mentre per Kieran è, evvai! Sono trans, che figata!»
Nevada, il romanzo già cult di Imogen Binnie (Feltrinelli, traduzione di Silvia Rota Sperti) e Detransition, baby di Torrey Peters (Mondadori, traduzione di Chiara Reali) hanno, tra gli altri, un grande merito: raccontano la pluralità dell’esperienza trans e – sembra banale dirlo – svelano in questo senso le infinità possibilità narrative. Dopo anni di decenni in cui le vite delle persone trans e queer sono state raccontate (sporadicamente, tra l’altro) sempre da una prospettiva cis-normata, oggi possiamo accedere a storie abitate da personaggə a tutto tondo, alle loro esistenze verosimili e complesse. La critica statunitense li ha addirittura definiti romanzi capostipiti di un nuovo genere, libri in grado di aprire la strada alla narrativa trans. Pur non essendo d’accordo fin in fondo con questa premessa, sono convinto che queste storie abbiano un potenziale detonante e una carica letterariamente rivoluzionaria. Vediamo come. Innanzitutto, pur essendo scritti da due autrici trans, entrambi i romanzi si allontanano dallo stile testimoniale e dall’afflato confessionale tipico dei memoir e all’autofiction. Questo, s’intende, non è un merito di per sé, ma l’evidenza inconfutabile di una naturale “fictionalizzazione” letteraria di esperienze spesso ritenute credibili solo perché completamente aderenti al vissuto di chi scrive. Poi, come si è già detto, Nevada e Detransition, baby si inseriscono, ciascuno a suo modo, in un dibattito assolutamente contemporaneo, che segue i tracciati di un immaginario trans che si è rinnovato e si rinnova costantemente rispetto alle retoriche stereotipate cui siamo più abituatə.
Detransition, Baby
Nel romanzo newyorchese di Torrey Peters, quello che viene spacciato come il tema cardine, vale a dire la detransizione di Ames, è in realtà un intelligentissimo espediente letterario per raccontare l’incidente che avvicina le tre figure principali della storia: Reese, Katrina e Ames, appunto. Ames, un tempo Amy, decide di de-transizionare e riabbracciare il genere assegnatoli alla nascita nella speranza di condurre una vita meno esposta ai rischi della vulnerabilità, del minority stress e delle costanti marginalizzazioni. Ames torna a vivere come persona socializzata uomo, ma non smette di essere trans. È una questione di identità. La detransizione, tra l’altro, porta con sé un grande dolore: la perdita di Reese, la donna trans con cui ha avuto una lunga relazione, l’unica persona che abbia mai potuto considerare famiglia. Reese, intanto, è più che mai ripiegata nel suo desiderio apparentemente inappagabile di maternità. Vuole un figlio e nient’altro al mondo. Katrina, invece, è la capa di Ames ed è la sua storia, anzi sono le loro storie insieme, i loro corpi insieme, a insinuare il vero incidente (eccolo!) di questa storia. Perché Katrina non è solo la capa di Ames, ma anche la sua amante. A un certo punto, in barba agli estrogeni assunti da Ames ai tempi della transizione, rimane incinta e la la gravidanza è un vero spartiacque esistenziale. Reese, Ames e Katrina si trovano a discutere o ridiscutere i termini della loro relazione: Ames chiede a Katrina di dare al figlio una seconda madre, Reese, mentre lui ammette a sé stesso e agli altri che non riuscirà mai a dichiararsi padre. Genitore, certo, ma non padre.
È così allora che Detransition, baby si configura soprattutto come un romanzo sul potere immaginifico della comunità trans, sulla sua capacità di inventare nuovi modi e nuovi ruoli, addirittura mondi nuovi e nuovi schemi per costituire la società e le famiglie, i legami, la politica e il lavoro. La vita tutta e i corpi che transitano e de-transitano, i padri e le madri, anzi i genitori e le genitrici. È Peters stessa, inoltre, ad aver dichiarato che il romanzo è da intendere come un invito al cambiamento continuo di paradigma, all’osservazione costante di ciò che comporta impegnarsi per cambiare sé stessə e il proprio universo. In questo, già il titolo ci viene in soccorso presentandoci una doppia (se non tripla) chiave interpretativa. Detransition, baby è sia una locuzione imperativa – un’esortazione al cambiamento, come dicevamo – sia l’accostamento di due fattori consequenziali (prima la detransizione, poi il bambino) che svela l’incidente narrativo oltre che, in ultimo, una formula grammaticalmente scorretta del genitivo sassone: “il figlio della de-transizione”. Espressione, questa, che possiamo associare al romanzo stesso, ai suoi personaggə, ai suoi snodi principali e persino a noi. Quello di Torrey Peters è il libro perfetto per continuare a interrogarsi sulle potenzialità della famiglia queer.
Nevada
Tra i libri che hanno segnato con più prepotenza l’immaginario di Torrey Peters c’è per sua stessa ammissione anche Nevada di Imogen Binnie:
“Nevada mi ha cambiato la vita: ha plasmato la mia visione del mondo e la mia personalità facendo di me la scrittrice che sono e raccontando una storia saggia, divertente e avvolgente.”
Il romanzo è stato pubblicato la prima volta nell’ormai lontano 2013 dalla Topside Press, una casa editrice di Brooklyn specializzata in narrativa trans, ma presto è finito fuori catalogo ed è diventato oggetto di scambi sul web: il forum online HaveyoureadNevada.com è stato battuto per molti anni da lettorə appartenenti alle comunità trans e queer desiderosə di collezionare occasioni di scambio e confronto intorno ai temi del romanzo. Ripubblicato l’anno scorso da Farrar, Strauss & Giroux, Nevada è finalmente arrivato anche in Italia.
Al centro della storia, Maria Griffiths, una libraia di New York alle prese con un’esistenza che le appare assolutamente caotica e incomprensibile. Il lavoro non la soddisfa e così anche le sue amicizie e la relazione con la fidanzata, Steph. Credeva che la transizione l’avrebbe resa una persona più felice e, invece, ogni giorno ancora si chiede se valga davvero la pena spingersi fuori casa e pedalare verso il lavoro, pedalare nel mondo, nell’America, in sé stessa. Per questo, forse, si sveglia sempre di corsa, arriva tardi al lavoro e litiga con tuttə, litiga con Steph e quando ha i soldi per farlo, assume sostanze stupefacenti, eroina compresa, ma spesso, quasi sempre, si dimentica di prendere gli estrogeni. Un giorno perde tutto quello che ha, dunque il lavoro e la fidanzata, e parte in macchina per un viaggio senza meta. Arriva fino a Star City, in Nevada, e per caso da Walmart incontra James. Lei pensa subito: è trans, ma non lo sa. James è un po’ più giovane di lei, ha una fidanzata e una sessualità complessa. Non sa cosa gli piace e quando lo immagina ne ha paura, non sa chi è: forse è trans – si dice – forse no. Lei così trova il senso che cercava, spingere James al coming out, e lui trova quello che ha sempre voluto, il pensiero proibito della libertà più sfrenata.
Imogen Binnie ha scritto un libro importantissimo e punk, un page-turner molto americano e disordinato, spesso antipatico e fastidioso, proprio come la sua protagonista. Ancor più spesso scorretto e indigesto ma, nel bene così come nel male, sempre sorprendente. Nevada è un road novel sui generis, perché racconta il viaggio senza descriverlo davvero: non ci sono strade né traversate, né autostop né code per la benzina. Allo stesso modo, racconta la transizione senza descriverla davvero. Maria è una donna trans, ma la sua transizione appartiene a un tempo che precede l’inizio della narrazione. Anche James potrebbe essere trans, ma la sua transizione sulla pagina non esiste, non inizia, non è neanche presa in considerazione.
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