Ci sono voci che, anche nel silenzio della morte, rimangono potenti. Voci che riecheggiano cuori e nelle anime che hanno toccato, ricordandoci la bellezza della vulnerabilità, dell’autenticità e della tenacia.
Una di queste è quella di Michela Murgia, intellettuale, scrittrice e attivista che ieri ha perso la sua lotta contro un tumore al quarto stadio, ma non prima di condividere il suo ultimo messaggio d’amore con il mondo: il suo testamento.
Chi avrebbe potuto prevedere che un documento legale, redatto per decidere della sorte dei propri beni, potesse racchiudere la sua ultima, grande testimonianza di lotta per il riconoscimento della sua famiglia queer e di tutte quelle famiglie “non convenzionali” per cui si è sempre battuta.
È stato questo l’ultimo regalo di Michela: un testamento che, oltre servire la sua mera funzione, svela il cuore di una donna che ha vissuto intensamente, amando senza barriere e rimanendo fedele a sè stessa fino all’ultimo.
Con l’aiuto dell’avvocata bolognese Cathy La Torre, Michela ha delineato le ultime volontà ben al di là della semplice divisione di beni, rappresentando invece un’ultima, profonda riflessione su come il materiale possa rappresentare emozioni, ricordi, momenti. Tutto, infatti, pare essere stato disposto con un occhio al valore emotivo e all’affetto.
“Ha scelto di fare testamento e da mesi abbiamo lavorato per tutelare la sua famiglia – spiega La Torre – lo abbiamo fatto insieme e sempre pubblicamente come battaglia politica. Michela ci ha mostrato che tutelare le forme relazionali non tradizionali ma che sono comunque famiglie è oggi una battaglia politica urgente e aggiungo, dal canto mio, anche una battaglia giuridica fondamentale. Ha fatto testamento e predisposto tutto per tutelare una famiglia che lo Stato non tutela”.
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Il suo guardaroba è andato a Chiara Tagliaferri. Non solo abiti, ma ricordi, momenti trascorsi, emozioni vissute. I gioielli e la bigiotteria, invece, sono andati a Patrizia. Anche se Michela non era particolarmente legata ai materiali preziosi, le sue “cianfrusaglie”, come lei stessa le definiva, pesavano circa trenta chili. Trenta chili di storie, di incontri, di vita.
Ma quello che colpisce di più del testamento di Michela è la presenza forte della sua famiglia queer. Una famiglia non legata dal sangue, ma dal cuore, costruita intorno a legami d’amore e di scelta.
Una famiglia che riflette l’essenza di Michela: aperta, inclusiva, libera. Raphael, per esempio, è un riflesso della sua visione. Entrato nella sua vita quando aveva solo nove anni, ha scelto Michela come “madre del cuore”, legame che entrambi hanno coltivato con amore e dedizione.
Ai suoi “figli dell’anima”, Michela lascia la sua casa. Tra di loro, Francesco Leone, Michele Anghileri e Alessandro Giammei, che si occuperà della curatela dei suoi scritti. Ognuno di loro ha una storia unica con Michela, legami nati in momenti e luoghi diversi, ma tutti accomunati da quell’amore profondo e reciproco, scevro da qualsiasi sovrastruttura.
Il testamento di Michela Murgia non è un freddo documento da tenere tabù, come spesso si fa, per evitare di pensarci. È una dichiarazione d’amore, un manifesto di libertà, un inno alla vita nel momento in cui sceglie di colpire di più. Michela non è più qui, ma attraverso le sue parole, le sue scelte, i suoi amori, continua a vivere.
La sua eredità non si trova solo negli oggetti, ma nelle vite delle persone che ha toccato, negli ideali per cui ha lottato, nell’amore che ha condiviso.
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