Monica si veste come un piccolo film indipendente, ma è qualcosa di più.
Presentata alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia (qui potete leggere la nostra recensione in anteprima), la pellicola è scritta e diretta da Andrea Pallaoro, regista 40enne di Trento, localizzato in America da almeno vent’anni.
È un film scritto su misura e ritmo della sua protagonista, Trace Lysette, attrice e modella transgender per la prima volta in gara nella storia del festival.
In un’epoca dove l’inclusività diventa spesso uno specchietto per le allodole per sedurre Twitter, Monica sfugge alla smania di spettacolarizzare una protagonista marginalizzata, raccontandola con silenzioso rispetto, quasi come se il regista sparisse e lasciasse a Trace Lysette la scelta di accompagnare la cinepresa dentro la sua storia.
Monica è una donna che dopo vent’anni lontana dalla sua famiglia, si ritrova a tornare nella casa dov’è cresciuta per assistere sua madre Eugenia (Patricia Clarkson), gravemente malata. Eugenia non vede sua figlia da quando se n’è andata, non la riconosce nemmeno, a tal punto da scambiarla per una nuova badante. Monica non rivela subito la sua identità, lasciando che a parlare siano i ricordi, un’infanzia mai mostrata ma sussurrata in piccoli ritagli di passato. Non sappiamo mai veramente se Eugenia riconosce o meno alla figlia, se adesso l’accetta silenziosamente o prova solo una grande simpatia per quella splendida ragazza capitata in casa sua.
Pallaoro non ha alcun interesse nell’appiccicare un’etichetta in fronte alla sua protagonista (nemmeno una volta dall’inizio alla fine del film viene utilizzata la parola ‘transgender’) ed è qui che la presenza di Lysette diventa essenziale: per anni il cinema, anglofono e ancor più italiano, ha raccontato le storie delle persone transgender a specifiche condizioni.
La combo morte e transessualità è sempre stato il gettone da giocare per guadagnarsi l’interesse del pubblico cisgender e cullarlo in una narrazione dove il mondo trans non era altro che un presagio di morte: da Boys Don’t Cry a The Danish Girl, lə protagonistə vengono torturatə e sconfittə, destinatə ad un tragico epilogo, a cui possiamo affezionarci solo se fanno spendere qualche lacrima in sala.
Se non c’è morte, c’è la risata volgare, la feticizzazione e umiliazione del corpo, ma anche la mostruosità, la transessualità riportata come un travestimento, un doppio io disturbato e inquietante, da Norman Bates in Psyco a Michael Caine in Vestito per Uccidere a Ted Levine in Il Silenzio degli Innocenti. In ogni caso a dare un volto a questi personaggi sono uomini eterosessuali e cisgender, elettrizzati dalla ‘sfida’ di cimentarsi sotto chili di trucco e costumi, guadagnandosi una nomination agli Oscar per aver ‘interpretato’ la transessualità, ridotta ad un costume da indossare, mimare, e buttare via una volta spenti i riflettori.
Ma Monica non nasce dal lavoro di un make up artist: non è una martire, non è una vittima, tantomeno lo zimbello di qualcuno.
È anche una massaggiatrice, anche una sex worker, anche una figlia ma soprattutto una donna che fa i conti con i pezzi del suo passato, vuole essere amata e riconosciuta ma nemmeno per un secondo piega il capo o chiede il permesso per essere sé stessa. “Succede che questo film metta al centro una donna trans e lo guardiamo attraverso i suoi occhi” spiega Lysette in un’intervista per Varierty “Che sfortunatamente è qualcosa di davvero raro e forse mai sentito in un film”.
L’identità di genere della sua protagonista è solo la cornice di una donna che come mille altri esseri umani cerca il suo posto del mondo, fa i conti con l’insicurezza di non essere compresa, compie scelte sbagliate, rimane delusa, cade e si rialza vivendo la propria banale, imperfetta, unica quotidianità.
Un film dove l’elemento trans è sottile ma mai indulgente, edulcorato, e offerto alla mercé dell’intrattenimento del pubblico, bensì integrato in un ruolo che potrebbe essere quello di ogni altra protagonista femminile. L’identità di genere è solo un particolare tra i tanti. Come ha detto Lysette alla rivista Them, ‘essere un’attrice trans non è per forza una cosa di nicchia’, e per quanto Hollywood ama confinarci dentro quell’etichetta, Monica è la dimostrazione che possiamo andare oltre.
Monica esce nei cinema italiani dal 1 Dicembre per ARTHOUSE.
Gay.it regala 10 biglietti per l’anteprima per ogni data . Utilizza il seguente form per richiedere i biglietti (max 2 per data). Disponibilità limitata.
– Sabato 3/12 ore 21.00 – Cinema Edera – TREVISO
– Domenica 4/12 ore 16.00 – Cinemazero – PORDENONE
– Venerdì 9/12 ore 20.45 – Cinema Vittoria – TRENTO