Con l’avvento delle app di dating – sempre più targettizzate e specifiche per tutti i gusti – incontrarsi dal vivo è diventato un concetto superato. Perché sforzarsi di uscire di casa, vestirsi bene, trascinarsi in “locali gay” colmi di eterocuriosə, per poi terminare la serata nel letto da solə?
Abbiamo Grindr, Wapa, Taimi, e chi più ne ha più ne metta, pronte a fornirci un elenco completo dellə scapolottinə più affini ai nostri gusti, sapientemente filtratə per orientamento sessuale, identità di genere, top, bottom, switch, che amano i cani o che preferiscono i gatti, che ascoltano Marco Mengoni o gli Arctic Monkeys… sì, insomma, abbiamo capito.
Eppure, per fare un’analogia da purista della carta stampata, un e-book non sarà mai paragonabile a un libro in carta e inchiostro. Ed è così che nascono gli eventi di speed dating.
Un ibrido perfetto che soddisfa la nostra soglia d’attenzione sempre più agonizzante, unendo però l’inestimabile componente dell’incontro dal vivo. Un concetto non del tutto nuovo, ma sempre gradito.
Ci si siede a un tavolo per un tempo prestabilito – dai 2 ai 10 minuti – si inizia una conversazione con una controparte affine ai nostri gusti, e si decide subito se vale la pena o meno dedicarvi ulteriore tempo oppure passare allə prossimə.
Quando si parla di comunità LGBTQIA+, questi spazi risultano ancora più utili. Come accade al College Arms, pub londinese nel quartiere di Bloomsbury, che ospita una serata tutta a tema lesbico, offrendo una possibilità ai cuori solitari di trovare l’amore nella grande metropoli.
In un setting che ricorda le sognanti romcom che ci hanno cresciutə, donne lesbiche di tutti i background sociali e culturali si incontrano davanti a una pinta fresca, sperando a ogni date di trovare l’anima gemella. Non tutte le donne lesbiche però.
Sì, perché negli scorsi giorni, una bufera di polemiche ha travolto l’organizzatrice, Jenny Watson, accusata di transfobia dopo alcuni recenti tweet esclusivisti:
“L’anno scorso, è arrivata una persona in full latex con un’evidente erezione. In un’altra occasione, una donna trans è entrata nel bagno delle femmine, assalendo un’avventrice dichiaratasi poi estremamente a disagio per il resto della serata. Se sei un uomo, evita di partecipare, non sei una lesbica”.
Dichiarazioni decisamente controverse per un’esponente di una comunità che tenta – da diversi anni – di isolare il movimento TERF e supportare donne e uomini trans come membri accolti e celebrati all’interno del movimento. E, infatti, Jenny aggiusta subito il tiro.
“Le persone trans meritano rispetto, ma dobbiamo anche proteggere gli spazi dedicati esclusivamente alle donne lesbiche”.
Eppure, questo non ha frenato il backlash ricevuto da Watson negli scorsi giorni. Sui suoi profili social, sono diversi i commenti che la etichettano come transfobica – specialmente dopo una recente dichiarazione secondo la quale “le lesbiche non hanno il pene”.
Osservando in terza persona l’accaduto, è facile concludere che un atteggiamento di questo tipo possa facilmente essere etichettato come problematico. Eppure, ci sono alcune considerazioni da tenere presente.
L’orientamento sessuale non è una scelta – e su questo, siamo tutti d’accordo. Ora, esistono così tanti tipi di orientamento sessuale che è difficile pensare di citarli uno ad uno, ma ne esiste uno che li raccoglie tutti: pansessuale.
La pansessualità implica un’attrazione che prescinde dall’identità di genere. Una donna pansessuale potrà quindi essere attratta in egual misura a uomini e donne cis, uomini e donne trans, persone non binarie, genderfluid o comunque appartenenti a qualsiasi identità compresa nell’infinito spettro dell’identità di genere.
Una donna lesbica, invece, potrebbe invece essere attratta esclusivamente da altre donne lesbiche – o bisessuali – a patto che siano cisgender. La bellezza della diversità sta proprio in questo: celebrare e accettare tutti gli orientamenti e identità.
Ora, è giusto escludere le donne trans da un evento esclusivamente dedicato alle lesbiche? Probabilmente no, perché potrebbero esserci lesbiche attratte in egual misura da donne cisgender o trans.
La soluzione, qui, sta nell’ampliare, non nel ridurre. È possibile avere eventi esclusivamente dedicati a uno specifico orientamento sessuale se ciò viene controbilanciato dalla presenza di eventi dedicati al resto delle persone.
E, soprattutto, sono i toni a fare la differenza. L’atteggiamento di Watson è assolutamente inqualificabile a prescindere dalle motivazioni che l’hanno spinta ad adottarlo. Basare la propria opinione su generalizzazioni dannose, stereotipi e linguaggi d’odio non è accettabile all’interno di una comunità che si batte proprio contro narrative simili.
L’obiettivo di un movimento per i diritti sociali è quello di far star bene tuttə, dedicando spazi in cui tuttə possano sentirsi accoltə e compresi.
Se questo vuol dire occupare un venerdì sera in più dedicato a coloro che presentano un’identità di genere diversa da quella cisgender, senza togliere spazio a nessun altro, in ottica inclusiva, allora vorrà dire che bisognerà impegnarsi un tantino di più. E superare la propria queerfobia interiorizzata.
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