Lei è suprema. Lei è una delle migliori attrici al mondo. Lei è Isabelle. Isabelle Huppert è Lei, Elle, la severa Michèle, a capo di un’azienda di videogiochi che dirige con pugno di ferro. Un giorno viene aggredita in casa da un individuo mascherato. Violentata. La sera va a cena, racconta agli amici che non ha fatto denuncia, ha fretta di ordinare da mangiare e da bere.
Cercherà in tutti i modi di scoprire chi è il violentatore, persino facendo tirare giù i pantaloni a un signore in azienda (il violentatore è circonciso). Ma quando lo trova inizia con lui un gioco ancora più perverso, tra vendetta e seduzione, le cui conseguenze sono davvero imprevedibili.
È un thriller estremo e bizzarro, Elle di Paul Verhoeven, adattamento del romanzo ‘Oh…’ di Philippe Djian, in uscita giovedì prossimo, gran ritorno dell’autore olandese di Basic Instinct e di un altro cult bisex, il dimenticato Il quarto uomo, specializzato in violenza e provocazione, celebre a Hollywood a fine anni ’80 per blockbuster fanta-action quali Robocop e Atto di forza.
Ma il film è Lei, è Isabelle Huppert, inondata di premi come il film, dal Golden Globe alla nomination all’Oscar ma battuta ingiustamente a Cannes dalla filippina Jaclyn Jose dell’iperrealista Ma’ Rosa di Brillante Mendoza. E per Lei un ruolo così calza come un guanto, perfetto per quel suo sottile snobismo che cela perversione ossessiva (vi ricordate La pianista di Haneke?), perfetto per la sua apparente imperturbabilità glam, perfetto per quel turbine di emozioni che la Huppert trattiene con un movimento impercettibile delle labbra, uno sguardo profondo e giudicante, un gesto preciso.
E a un certo punto, inaspettatamente, ecco che Michèle finisce a letto con un’amica, senza successo: “Ci avevamo provato tanto tempo fa, vero?” rievocano nostalgiche le due cerbiatte. Ma Michèle non si scompone, cerca non solo il violentatore ma se stessa, cerca le sue radici, cerca di comprendere l’ex marito Richard (Charles Berling) e venire a patti con uno sconvolgente segreto di famiglia.
La potenza di Elle sta però soprattutto nel mantenersi sul crinale tra provocazione e ironia senza mai eccedere né nell’uno né nell’altro, nello svelare poco alla volta le sue carte e soprattutto, nell’ultima parte, trasformarsi in una sorta di black comedy survoltata che irride i riti della buona borghesia francese (inizialmente doveva essere prodotto negli Usa ma il tema è stato giudicato troppo scabroso).
In tempi di massima violenza contro le donne, un film del genere è certamente un’ardita provocazione intellettuale ma Verhoeven ha spiegato che “Si tratta di una storia, non è vita vera, né una visione filosofica della donna. Questa particolare donna reagisce così. Non vuol dire che tutte le donne reagirebbero o dovrebbero reagire allo stesso modo. Ma Michèle, lei sì!”.
Riguardo alla scena in cui Michèle e Anna (Anne Consigny) si allontanano insieme, Verhoeven ha dichiarato: “Quando abbiamo girato quella scena finivano per baciarsi ma sarebbe stato eccessivo, per niente nello stile del film, che evita le cose esplicite. La stessa cosa quando sono insieme a letto. Avevo girato anche il seguito, con loro che fanno l’amore. Ma c’erano già abbastanza indizi, ho preferito un’ellissi sulla notte e lasciare indovinare allo spettatore quello che accade, se ne ha voglia… Quando si gioca con l’ironia, bisogna farlo con le sfumature e i dubbi, mai gettare in faccia allo spettatore una spiegazione”.
Da vedere.
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