Sono stati i minuti immediatamente dopo la notizia della sua morte a suggellarne il lascito. Ed egli dev’essersi assai divertito, in quel trapasso dal corpo al chissà cosa, nell’osservare la moltitudine di comunicati, meme, tweet, post, commenti, story, videomonologhi, telegrammi a gif e filtri coi baffi, che brulicavano all’impazzata, rapida e incontrollabile matassa di smangiucchiatori, che tutto divorano e rigettano: ognuno a strappare un pezzetto della sua morte, per acchiappare il momento, sventolare un lembo di memoria, fissare l’addio e pubblicare subito, prima del vicino di timeline. Ivi incluso questo scritto
Così era nel suo salotto, primo e mai superato specchio che tutto deforma, e tutto rimanda, di quel che siamo, belli e brutti, conformi e non conformi. Il Maurizio Costanzo Show prima vera piattaforma di futuri influencer, primo brodo di mediocrità godereccia: quel teatrino di nome Parioli il primo vero schermo di telefonino.
C’era spazio per tutti, l’algoritmo di Maurizio non escludeva e non sceglieva, tutti venivano setacciati, e a tutti veniva offerta l’opportunità di un like o di un per te. Persino alla più anonima e normale banalità, proprio perché tale, era suggerito un saltello su quel trampolino di lancio. Non si sa mai dove tu possa ricadere. Certo, il tuffo, poi, era tutto tuo, tutto tuo il vuoto, tutta tua l’eventuale gogna. Tutto tuo il potenziale successo, la fama, la gloria, la dimenticanza. Il sipario si chiudeva come uno scrolling e tanti saluti: al prossimo giro, al prossimo post.
In quel setaccio pre-algoritmico che tutto osservava, il grande fratello coi baffi portava nelle case di un’Italia incollata alla tv l’autorappresentazione del singolo e la sua proverbiale pulsione narcisistica, liberata da mediazioni, essa stessa maschera di sé stessa. Via le ideologie, via i partiti, via le appartenenze: largo all’io, all’ego, alla tua vita, alla tua storia, a te per ciò che sei e, possibilmente, per l’attenzione che desterai. L’intrattenimento che saprai offrire. I buuuu che saprai incassare e la merda che saprai mangiare.
E fu così che l’informazione e l’intrattenimento iniziarono a fare all’amore, anticipazione grossa e grassa della successiva fecondazione di reality show, blog, social network e di quel che un giorno sarà inventato, ma che nella testa di Costanzo era già tutto intuibile: la barriera è abbattuta, la disintermediazione compiuta, il singolo è il media e voi non siete un cazzo.
Ed è proprio grazie a questa capacità premonitoria di accendere le luci sul singolo, che Maurizio Costanzo ha creato un contesto feroce e vitale per dare attenzione e spazio alle diversità, nella scaltra, cinica, manipolatoria furbizia di capare le storie che grondavano pietas, o sdegno, o morbosità. Le diversità sì, ma meglio se estreme, è lo show bellezza. I toni medi si accomodino sul divano, consigli per gli acquisti.
In quello spazio galleggiante tra il racconto della realtà e l’avanspettacolo del grottesco, ecco spuntare puttani che sputtanavano cardinali, gay stupendamente effemminatissimi che impartivano lezioni di vita, drag queen radiofoniche gettate nel circo catodico, genitori omosessuali, persone transgender future deputate e tronisti futuri portavoce di premier, e ancora critici liberi di corrodere, pornostar prestate al parlamento, politici rimbrottati senza ritegno, potenti esposti all’interrogatorio del mercato del pesce, e ancora, e ancora, e poi ancora: nullafacenti sedicenti intellettuali, casalinghi orgogliosamente disoccupati, discriminati e discriminanti, tutte e tutti in un’unica timeline, quella di ieri come quella di oggi, già da allora dipanata con l’ingordigia curiosa e bulimica: ché soltanto così la racconti la realtà, ché lo sappiamo ormai che la verità non esiste e che tutto, e sempre, è solo per lo show, e nessuno può fermare l’avanzata populista e devastante della società dello spettacolo, e per questo, anche oggi, the Maurizio Costanzo Show must go on. Spegnete il telefono se ci riuscite.
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