Quando sei un adolescente e sei vittima del bullismo omofobo, la scuola si trasforma da luogo di divertimento, amicizie, crescita in un "posto delle sofferenze e delle umiliazioni". E’ quello che racconta un ragazzo udinese di vent’anni a Repubblica.it che raccoglie una testimonianza schietta che non fa sconti a nessuno, a cominciare dagli insegnanti. Proprio loro che dovrebbero vigilare su quello che sccede a scuola, sui rischi che corrono i ragazzi che diventano più deboli perché finiscono nel mirini deo bulli, a volte finiscono per diventare parte di quel tritacarne al quale Francesco (nome di fantasia) è riuscito a resistere ma a cui alcuni soccombono.
Iscritto ad un istituto tecnico di Udine, francesco è vittima di battute, atteggiamenti, vessazioni omofobe da quando, a 14 anni, confessa alla sua migliore amica di essere gay. Lei lo racconta a qualcun’altro e la voce, inevitabilmente diventa di doinio pubblico.
Certo è difficile aspettarsi che i ragazzi sviluppino una cultura della diversità quando sono per primi gli insegnanti a non essere in grado di trasmetterla a loro.
Parlando del caso di Andrea, il 15enne suicidatosi a Roma qualche settimana fa, Paolo Berizzi chiede a Francesco: "I tuoi (insegnanti, ndr) come si sono comportati? Quando i compagni ti insultavano sono intervenuti?". "Mai – racconta senza messe parole il ragazzo -. Anzi, qualche insegnante si univa al coro: battutine, allusioni. Se un professore sa che in classe c’è un alunno omosessuale e scherzando con un altro alunno etero gli chiede "non hai la morosa, non sarai mica finocchio?", e tutti ridono, come posso sentirmi io?".
E ancora: "Insegnanti e preside che dicono quando i compagni ti prendono di mira?". "Niente – ripete -. Fanno finta che il problema non esista. Mi sbatto per portare anche nella mia scuola il corso (tra i primi in Italia) organizzato dall’ufficio scolastico regionale e dall’Arci gay per sensibilizzare sul bullissimo omofobico. La preside dice: "Il fenomeno qui non esiste". Quando sa benissimo che non è così. C’è un’omertà diffusa".
Francesco, però, una sponda a cui appoggiarsi ce l’ha: la sua famiglia. E forse è proprio questo, insieme probabilmente ad un carattere più forte di altri, che lo ha aiutato e lo aiuta ancora a fare muro contro il bullismo che subisce a scuola.
"Quando l’hai detto ai tuoi genitori?" gli chiede il giornalista.
"Un anno e mezzo fa. Mi vedono sempre giù – racconta -. Porto a casa una pagella disastrosa, seconda bocciatura. Mi chiedono: "cos’hai? ti droghi?" Mio padre fa: "sei gay? No". Un giorno arriva, prende un bel giro di parole per farmi la stessa domanda. A quel punto racconto. Lui si mette a piangere, ma è contento. "Finalmente dopo 18 anni conosco mio figlio". Prende contatti con l’Arci gay di Udine, mi dice: "Se un giorno ti va di fare due chiacchiere…". È stato un grande. Decidiamo, di comune accordo, che la cosa resta in famiglia". E infatti chiede che la sua identità non venga rivelata perché "i miei nonni farebbero fatica ad accettarlo".
Francesco ricorderà sempre gli anni delle superiori come un incubo di vessazioni e depressione che, forse, gli è costato anche due bocciature. Adesso le cose vanno un po’ meglio e non perché i suoi compagni di scuola siano maturati o gli insegnanti abbiano scelto la via del dialogo invece che quella della superficialità, ma perché Francesco in sei anni ha imparato a reagire, a sue spese. E ora, come dice a chi lo intervista, è anche disposto a raccontare tutto al provveditore agli studi.
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