#CinemaSTop: Meryl rock con figlio gay divora Dove eravamo rimasti

Escono anche il pasoliniano Non essere cattivo, Sangue del mio sangue e Self/less.

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Dove eravamo rimasti, Meryl Streep mamma rock si mangia l’intero film
Non basta Meryl Streep per fare un buon film. Si esce un po’ sconfortati da Ricki and the Flash (il titolo italiano è tremendo: Dove eravamo rimasti) soprattutto se si pensa alla sconfinata bravura dell’attrice americana più inattaccabile criticamente, forse la migliore al mondo, Lady Actors Studio Meryl Streep. Ma anche al talento oggi un po’ appannato del regista Jonathan Demme (Philadelphia) di cui si sentono echi del precedente Rachel sta per sposarsi, che era comunque migliore. Eppure, paradossalmente, il problema è proprio Meryl Streep che fagocita l’intero film, riducendo a bozzetti o poco più gli altri personaggi. Lei è perfetta nel leather look di Linda Rendazzo in arte Ricki, voce e chitarra di una cover band, i Flash, che si esibisce da anni nella bettola losangelina The Salt Well – le riprese dei concerti sono live, la cosa migliore del film anche se troppo insistite, forse per giustificare la spesa dei diritti per le top cover che si sentono nel film (Tom Petty, Bruce Springsteen, Pink, Lady Gaga, eccetera). La Streep sembra una vera, scatenata musicista rock e ha preso per mesi lezioni di chitarra acustica con un maestro di New York e poi chitarra elettrica con Neil Citron. Quando l’ex marito Pete (Kevin Kline) le comunica che la figlia Julie (Mamie Gummer, vera figlia della Streep) ha tentato il suicidio dopo essere stato mollata dal marito per una ragazza più giovane, riesce a convincerla a tornare nell’Indiana e rivedere i figli, uno dei quali sta per sposarsi e l’altro è fidanzato con un asiatico (ma il personaggio non è approfondito e appare in due sole scene). Nonostante la sceneggiatura porti la firma del premio Oscar Diablo Cody (Juno) e sia ispirata alla vera storia di sua suocera, mostra un certo schematismo nella rappresentazione di due mondi opposti, quello superagiato del marito con villa iperlussuosa e quello modestamente proletario di Ricki. Si sottrae inoltre spazio all’approfondimento del rapporto psicologico tra la madre e i figli -quello omosessuale sembra quasi giustapposto – che all’inizio del film sembrava rivelare risvolti più interessanti. Film rock? Sì, ma non troppo, e più convenzionale di come vuole apparire.

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Un travestito tossico nel film-testamento di Claudio Caligari Non essere cattivo
Acclamato alla Mostra di Venezia accusata di averlo ingiustamente relegato fuori concorso, Non essere cattivo è l’opera postuma, la sua terza, di Claudio Caligari (Amore Tossico e L’odore della notte), morto a 67 anni il 26 maggio scorso. Vite violente di due amici poco più che ventenni, Cesare e Vittorio (Luca Marinelli e Alessandro Borgh) ad Ostia a metà degli anni ’90. Spaccio di coca e droghe sintetiche, lo sballo facile, bolidi senza controllo, notti selvagge in discoteca. Quando Vittorio incontra Linda inizia a desiderare una vita diversa e prende le distanze da Cesare ma quando i due si rincontrano ci sarà l’occasione per far cambiare il corso degli eventi. Tra i personaggi secondari troviamo anche un travestito tossico che deve gestire una partita di droga e abita in una baracca sul Lido di Ostia, non lontano dal luogo dell’uccisione di Pasolini. Non essere cattivo ha vinto qualche ora fa il premio collaterale Gianni Astrei.

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Marco Bellocchio nella sua Bobbio col ‘doppio’ Sangue del mio sangue
Si preannuncia come il film più personale di Marco Bellocchio, Sangue del mio sangue, doppia storia ambientata nel suo amato borgo natio, Bobbio in provincia di Piacenza. Nel Seicento un giovane uomo d’armi, Federico Mai (il figlio di Bellocchio, Pier Giorgio), viene sedotto come il suo gemello prete da suor Benedetta, condannata ad essere murata viva nelle antiche prigioni di Bobbio. Ai giorni nostri un altro Federico, sedicente ispettore ministeriale, scopre che gli stessi luoghi sono abitati da un conte vampiresco (Roberto Herlitzka) a capo di una misteriosa setta. “Il film nasce dalla scoperta casuale delle antiche prigioni di Bobbio – ha dichiarato il regista – e mi ha ispirato la storia di Benedetta, una monaca murata viva nella prigione convento di Santa Chiara, a Bobbio. Mi parve che questa storia dissepolta da un passato così remoto meritasse un ritorno al presente dell’Italia di oggi e più precisamente in un’Italia di paese, Bobbio, che la modernità, la globalizzazione hanno ormai cancellato”.

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Self/less, il fantathriller psicologico di Tarsem che ricorda Operazione diabolica con Rock Hudson
Fantathriller psicologico diretto dal regista indiano di The Cell, Tarsem Singh, vede un industriale multimiliardario, Damian Hale (Ben Kingsley), accettare di sottoporsi a un’innovativa terapia medica, lo ‘shedding’, per sradicare il tumore di cui soffre. In realtà, dopo l’operazione, Damian scopre che la sua coscienza si è trasferita nel corpo di un uomo molto più giovane di lui e in piena salute, Edward (Ryan Reynolds). Attraverso la sua nuova identità cercherà di indagare sull’organizzazione segreta che sta dietro all’occultista Albright (Matthew Goode di A Single Man). La trama ricorda un classico con Rock Hudson del ’66, Operazione diabolica di John Frankenheimer, in cui il protagonista appare solo al quarantesimo minuto, dopo che Arthur Hamiton (John Randolphi) subisce la trasformazione totale, diventando l’attraente Antiochus ‘Tony’ Wilson.Nella versione in DVD di questo film è stata reintegrata una scena di baccanale con vari nudi censurata all’epoca.

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