“Chi sceglie di affidarsi a un ragazzo iracheno, profugo e persino gay?“. Questa la domanda che si pone DanyarStar. Proveniente dall’Iraq, 29 anni, è fuggito dal suo Paese di origine perché l’omosessualità è reato. Rischiava di essere frustato o ucciso, in un territorio dove l’ISIS ancora oggi domina.
Ha scelto di scappare due anni fa, dopo che suo fratello lo ha colpito alla testa con un coltello. Dopo tutte le discriminazioni. E la paura di morire. Da un anno, risiede al centro d’accoglienza San Francesco, gestito dalla cooperativa Medihospes, a Roma, come rifugiato politico con protezione internazionale. Qui però non ci può più stare, ma non riesce a trovare un lavoro serio per essere autonomo.
Il tempo di permanenza era già scaduto a marzo, ma la data è stata posticipata per il Covid 19. Ma trovare un vero lavoro sembra impossibile.
Un inferno sia in Iraq che nel centro d’accoglienza
Danyar ha scoperto una nuova vita nel centro d’accoglienza. Ha fatto un corso di italiano per conoscere la lingua, poi un corso professionale per pizzaioli. Entrambi conclusi con successo. E per Danyar, il sogno che si porta dentro dall’Iraq sembra più vicino: fare il cuoco.
Ma se non è più in pericolo di vita, le discriminazioni e l’omofobia non sono mai finite. E provengono dagli stessi profughi, nella maggior parte provenienti da paesi dell’Africa subsahariana, dove l’omosessualità è un reato.
Per loro sono “diverso”. Mi insultano, mi minacciano, una volta sono entrati nella mia stanza mettendo tutto sottosopra. Devo sempre guardarmi le spalle e non posso stare tranquillo nemmeno quando dormo.
Questa è la situazione di Danyar, raccontata al Corriere.it. Il ragazzo 29enne al momento si ritrova solo, senza alcun aiuto se non i sussidi dello Stato. Molti dei suoi compagni si accontentano di lavorare in nero (secondo la Fondazione Moressa, sono 630.000 gli immigrati lavoratori in nero, per un valore di 15 miliardi di euro), per andarsene poi in Germania o in Francia, dove hanno amici o parenti che li aiutano a inserirsi.
Integrazione? Un miraggio
Danyar non ha familiari. E la sua omosessualità è un problema all’interno della comunità irachena. I migranti dall’Iraq e dalle zone vicine portano infatti con sé la loro omofobia, allontanando e discriminando anche i connazionali, che hanno vissuto e stanno vivendo la stessa tragica esperienza.
Anche i suoi incontri all’Arcigay tra ragazzi provenienti dall’Iraq e Paesi vicini è stato un fiasco. Impossibile creare una comunità di iracheni omosessuali, anche perché gli avvocati consigliano ai propri assistiti di fingersi gay, solo per ottenere l’asilo politico.
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le ultime righe dell'articolo la dicono lunga.essere gay serve x ottenere il permesso di rifugiato politico.alla maggior parte.