Huppert superiora lesbica nell’illustrativo “La religiosa”

La grande attrice francese Isabelle Huppert interpreta una Madre Superiora lesbica innamorata di una giovane suora nel passabile dramma ‘La religiosa' di Guillaume Nicloux tratto da Diderot.

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Al cinema l’omosessualità femminile in ambito religioso è stata affrontata molto meno frequentemente rispetto a quella maschile che vanta titoli interessanti quali i drammatici in chiave di denuncia Il prete, Lilies o il recente e premiatissimo In The Name Of. Era invece molto cinepraticata negli anni ’70 ma in chiave boccaccesca e soft-core nei cosiddetti Tonaca Movies, prolifico sottogenere di quella commedia sexy all’italiana che negli anni ’70 rappresentò la risposta della nostra settima arte alla Nunsploitation, ossia quel filone derivativo dei b-movie americani della cosiddetta “sexploitation” caratterizzato da suore polpose spesso lesbiche e finto-indemoniate in ambientazioni perlopiù medioevali la cui peccaminosa minaccia era incarnata da perdute sorelle in calore o diabolici preti già libertini, scandalosamente dotati sessualmente ma quasi mai a livello interpretativo. I titoli dicono tutto: La bella Antonia, prima Monica e poi Dimonia (1972) di Mariano Laurenti; Levia lo diavolo tuo dal… Convento (1973) di Franz Antel, Confessioni proibite di una monaca adolescente (1977) di Jesus Franco, e via eroticheggiando. Negli anni ’80 fece sganasciare i primi fan di Almodóvar il grottesco L’indiscreto fascino del peccato con la strepitosa Madre Superiora eroinomane e lesbica interpretata da Julieta Serrano. Ma in seguito il sottofilone si autorelegò nella porno-clausura della produzione esplicitamente hard.

Trent’anni dopo esce in sala ‘La religiosa’ di Guillaume Nicloux, un passabile dramma in costume che ha il pregio di togliere quella patina di morbosità e scollacciato erotismo occhieggiante a un pubblico etero maschile, tipica di quando si parla di lesbismo in convento.

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Tratto dall’omonimo romanzo pubblicato a fine Settecento dall’illuminista Diderot, già trasposto al cinema nel 1966 da Jacques Rivette (Suzanne Simonin la religiosa) ma di cui Nicloux attenua lo spirito originario da libello anticlericale cambiando il finale, racconta della sedicenne Suzanne (la diafana Pauline Etienne, perfettamente dimessa), terzogenita dal talento musicale di una ricca famiglia caduta in disgrazia, costretta, essendo illegittima, a tornare in convento dopo un primo tentativo in cui aveva rifiutato i voti durante la cerimonia di rito, resasi conto di non avere alcuna vocazione a riguardo. Ma quando muore misteriosamente l’adorata Madre Superiora, Suzanne si ritrova alla mercè della sadica Suor Christine (Louise Bourgoin, dal viso molto contemporaneo) che le infligge una sequela di inenarrabili umiliazioni: la fa spogliare completamente da un’altra suora, la rinchiude in un sotterraneo, le rivolta contro le consorelle che le sputano addosso e la fanno camminare a piedi nudi sui cocci di bottiglia (questa è l’unica parte del film in cui Nicloux calca molto la mano, al punto che Suzanne sembra davvero la Suora Maltrattata da Tutti di almodovariana memoria). Quando la sventurata riesce a ottenere il trasferimento nel convento di Saint-Eutrope, si ritrova a essere la protetta della nuova, amorevole Madre Superiora che si innamora perdutamente di lei e non tarda a molestarla esigendo baci e infilandosi proditoriamente nel suo letto, scatenando tra l’altro la gelosia di un’altra sorella, Thérèse (Agathe Bonitzer), probabilmente una sua ex amante.

Isabelle Huppert interpreta proprio la Madre Superiora lesbica, appare dopo un’ora di film ed è, come sempre, talmente espressiva che riesce a calarsi perfettamente nel ruolo evitando – come invece temevamo – il côté pruriginoso e la malizia perversa tipica dei suoi personaggi borderline: la Madre Superiora ha una sua naturalezza piuttosto materna e, anche se lo sviluppo psicologico della sua passione per Suzanne è troppo accelerato e non approfondito, il suo impeto è più dovuto a un’incapacità anche naif di contenere la follia amorosa che non un sadico esercizio di potere prevaricante.

«Non avevo mai letto il libro prima – aveva spiegato la Huppert a Berlino dove La religiosa era stato presentato in concorso – ma è stata una vera scoperta. Mi è piaciuta innanzitutto la sceneggiatura e poi il modo di dirigere di Guillaume: un modo molto semplice, che non rendeva “superiore” la mia Madre Superiora, ma che metteva in evidenza i suoi sentimenti per le giovani ragazze del convento, allontanandola dalla “divinità” che doveva rappresentare. La sua passione per questa ragazza la rende umana. Non mi sono certo posta la questione di interpretare una donna innamorata di un’altra donna. La cosa è venuta facilmente e non c’era nulla di scandaloso in questo, come non c’è niente di scandaloso nell’esprimere i propri sentimenti. È tutto molto naturale».

Se La religiosa prendesse i voti da noi riceverebbe un sette su dieci per la confezione professionale ma un sei come giudizio complessivo, essendo un po’ troppo illustrativo e senza alcun guizzo che sappia davvero catturare lo spettatore.

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