"La prima cosa che farò una volta fuori da qui sarà gridare, urlare a gran voce che posso finalmente essere me stesso". Così un ragazzo tailandese alla reporter di France Presse recatasi in un convento per raccogliere le testimonianze dei tanti "katoeys", ovvero transgender, costretti dalle famiglie a seguire veri e propri corsi di "mascolinità" con l’obiettivo finale di "diventare uomini".
Perché è questo che succede in quel paese, noto per la sua apertura sia nei confronti della transessualità, considerata a tutti gli effetti il terzo sesso, che nei confronti degli omosessuali. Sono molti, infatti, i ragazzi la cui transessualità non è accettata dalla famiglia che per estrema ratio si rivolge ai monaci, costringendo i figli ad una vita di crudeli e inutili sacrifici.
Non a caso, una volta liberi dalla vita monacale, i ragazzi tornano alla loro quotidianità di trans, spesso ricorrendo all’operazione per la riassegnazione del genere. "Non potete essere altro se non quello che il vostro vero genere dice che è quello maschile – predica Phra Pitsanu ad un’assemblea di "katoeys" adolescenti -. Come novizi potete solo essere maschi".
"Non possiamo cambiare tutto di loro – spiega poi il monaco alla giornalista -, ma quello che possiamo fare è controllare il loro comportamento per far loro comprendere che sono nati uomini e non possono comportarsi da donne".
La cosa è vissuta con allarme dagli attivisti per i diritti delle persone lgbt in Tailandia. "Questi ragazzi crescono odiandosi perché monaci rispettati hanno insegnato loro che essere gay o tans è sbagliato – dice l’attivista Natee Teerarojanapong -. Non vivranno mai felici".
"Posso rendere la mia famiglia fiera di me anche senza essere un uomo – dice un adolescente alla giornalista -. Ho abbandonato l’idea di fare l’hostess di volo. Adesso vorrei lavorare in banca".