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Al cinema arriva la vagina coi denti

Esce l’horror-grottesco apprezzato al Sundance su una liceale vergine con vorace vagina dentata. Dirige Mitchell Lichtenstein, l’attore di “Banchetto di nozze” alla sua opera prima da regista.

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Qualcuno lo ricorderà come il bel Simon fidanzato col taiwanese Wei-Tung nel delizioso Banchetto di nozze del doppio Leone d’Oro Ang Lee. Oppure soldato vessato nel corale Streamers di Altman, ruolo per cui vinse a Venezia una Coppa Volpi divisa per sei insieme al resto del cast maschile. Stiamo parlando di Mitchell Lichtenstein, attore americano poco sfruttato al cinema che ritroviamo quindici anni dopo – e parecchi capelli grigi in più – nelle vesti di regista di una curiosa commedia grottesca, Denti, che è stato il "caso" del Sundance 2008 dove ha vinto il premio per la migliore attrice, la rivelazione ventisettenne Jess Weixler.

La trama farebbe pensare a un B-movie di quelli prodotti serialmente dalla specializzata Troma, eppure pare che il mix surreal-horror funzioni e che non si discosti troppo dalla comicità irriverente e sexy-naif alla John Waters: la bionda Dawn (Jess Weixler) è un’avvenente liceale vergine che cerca di reprimere i propri crescenti impulsi sessuali e diventa la leader convinta di un gruppo locale di ragazze "pro-castità". Durante un drammatico tentativo di stupro ai suoi danni, scopre di avere una dote davvero particolare: la sua vagina è provvista di una pericolosissima dentatura affilata. Inizialmente spaventata da questo suo potere da leggenda metropolitana, imparerà a trarne profitto non prima di aver causato evirazioni a catena con sommo stupore del suo ginecologo…

Insomma, il rischio di una comicità trash dalla grana grossissima sembra proprio dietro l’angolo ma a leggere le critiche americane c’è da ricredersi: Peter Hartlaub del San Francisco Chronicle lo definisce «Estremamente divertente e molto intelligente», mentre James Berardinelli su Reelviews parla di «Black comedy che è anche un dramma sulle angosce adolescenziali, una storia romantica che finisce male, un B-horror, un’allegoria sulla progressiva conquista di potere delle donne». Un elogio alla regia di Litchtenstein arriva invece da Kirk Honeycutt di Hollywood Reporter: «Un solido esordio che rende estremamente curiosi sul prossimo progetto del regista».

Una curiosità: il film è omonimo di un’opera di Salvatores del 2000 con Rubini, Bentivoglio e Villaggio, anch’esso grottesco-pulp ma incentrato su un "problema orale" di due dentoni incisivi che creano forti complessi nel protagonista. 

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