L’Alaska, l’ultima frontiera americana, come ancora oggi è considerata, è formata principalmente da villaggi e piccole città rurali, a volte anche molto distanti fra loro. Si tratta di vere e proprie comunità in cui tutti si conoscono, i negozi sono pochi, le cliniche per curarsi sono una a villaggio e per spostarsi in un’altra struttura si devono percorrere centinaia di chilometri. Il che può costituire un problema quando le persone queer sono in cerca di assistenza sanitaria.
È questo il problema che ha spinto la dottoressa Tracey Wiese, 38 anni, ad aprire una clinica sanitaria LGBTQ+. Inizialmente la sua clinica si chiamava Full Spectrum Health, situata ad Anchorage in Alaska e il suo obiettivo era fornire assistenza per far fronte allo sproporzionato carico di problemi di salute fisica e mentale nella comunità queer dell’Alaska.
Nata in Germania, dopo un breve periodo negli Stati Uniti Tracey Wiese è approdata in Alaska all’età di 14 anni, dove ha studiato Medicina fino ad arrivare a conseguire una certificazione come infermiera psichiatrica e dottore in pratica infermieristica. Da sempre interessata alle applicazioni pratiche della ricerca scientifica, dopo aver fatto coming out e aver acquisito diverse amicizie nella comunità LGBTQ+ locale, Tracey si è resa conto che le cure per le persone queer spesso non erano garantite.
«Ho iniziato a farmi degli amici, e un giorno c’era un mio amico trans* che piangeva nella mia cucina. Diceva: “Non riesco a trovare nessuno che prescriva il mio testosterone” e l’ho guardato e gli ho detto: “Beh, posso prescriverlo io”», racconta la dott.ssa Wiese, che da quel momento ha iniziato ad interessarsi della questione. «Non sapevo nulla delle cure che affermano il genere. Quindi, non appena ho iniziato a immergermi nella letteratura sull’assistenza sanitaria queer, mi sono resa conto dell’impatto che la mancanza di risorse e il trauma avevano sulla comunità di cui ero diventata parte».
La situazione dell’Alaska, in effetti, è molto delicata. Tracey Wiese spiega: «L’Alaska, in generale, ha tassi molto alti di violenza interpersonale, abusi sui minori, alcolismo, uso di sostanze e condizioni di salute mentale croniche. E ci sono molte teorie al riguardo: isolamento, oscurità, climi estremi, isolamento dalle risorse esterne. Quindi gli uomini nativi dell’Alaska che vivono nelle zone rurali hanno il più alto tasso di suicidio nella nazione. E quando lo guardiamo con una lente intersezionale, e sappiamo che le anche persone queer hanno tassi di suicidio molto alti, ciò mette il rischio di suicidio per la popolazione queer e l’Alaska probabilmente al livello più alto della nazione».
Guidare da sola una clinica LGBTQ+, però, era troppo faticoso. Tracey era arrivata a una settimana lavorativa di 90 ore e, nonostante i feedback dei pazienti sottolineassero come la sua impresa avesse salvato molte vite, per lei i ritmi erano diventati insostenibili. Qui entra in gioco Identity Health, un’organizzazione no-profit che offre servizi sanitari a domicilio a cui la dottoressa si è rivolta per provare a vedere se i loro obiettivi potessero combaciare. Così la sua Full Spectrum Health si è trasformata Identity Health Care, la prima e (speriamo solo per ora) l’unica clinica senza scopo di lucro dell’Alaska che offre cure continuative alle persone queer.
«È difficile per le persone omosessuali che vivono nelle zone rurali dell’Alaska, perché in molte comunità rurali dell’Alaska c’è una clinica sanitaria. Non puoi andare da nessun’altra parte ed è molto probabile che i tuoi amici o la tua famiglia lavorino in quella clinica. Quindi non c’è davvero modo di non fare coming out in quelle cliniche del villaggio. E così facciamo telemedicina nell’intero stato dell’Alaska. Facciamo blocco della pubertà, forniamo PrEP, eseguiamo test per l’STI»
La passione di Tracey Wiese per questa causa ha dato vita a un bellissimo progetto che comporta un significativo cambiamento positivo per la vita della comunità LGBTQ+ in Alaska, un’iniziativa lodevole che è l’esempio di come progetti simili possano nascere spontaneamente e fare davvero la differenza. Daniel Stanton, suo caro amico, la descrive così: «Vuole vivere in una comunità in cui tutti abbiano accesso ai determinanti sociali della salute di cui hanno bisogno per vivere pienamente la propria vita. E non è proprio quello che la maggior parte di noi vuole?».
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