Solo poco tempo fa abbiamo parlato dei peggiori paesi sul territorio europeo in materia di diritti e qualità della vita per le persone LGBTQIA+.
L’Azerbaijan è classificato all’ultimo posto, il 49esimo, e l’ultimo episodio di violenza perpetrato verso un giornalista LGBTQ+ è l’ennesima prova delle condizioni di vita insostenibili a cui le persone queer fanno fronte ogni giorno in questo paese.
Avaz Hafizli aveva 24 anni quando è stato torturato, mutilato e ucciso da un suo stesso parente. Era un appassionato attivista per i diritti della comunità transgender e per il riconoscimento dei crimini d’odio in Azerbaijan, lavorando nel contempo come reporter per Kanal 13.
Secondo i media locali, le autorità avrebbero ritrovato il suo corpo decapitato e mutilato nei genitali nel suo appartamento di Baku il 22 febbraio. Ma lo scempio non si è fermato qui: i poliziotti avrebbero avvolto il cadavere in un tappeto e lo avrebbero trasportato in un camion per i rifiuti, per evitare di toccare un “essere impuro”.
Oggi, il colpevole dell’atroce delitto – il cugino di Hafizli, Amrulla Gulaliyev – è stato condannato a soli nove anni e sei mesi di prigione.
“Gli avevo detto di lasciare quella strada [essere gay] e lui mi ha risposto ‘È la mia vita, tu vai e fai la tua’” – ha dichiarato Gulaliyev alla corte. “Quindi ho preso un coltello dalla cucina e l’ho aggredito”.
Per comprendere il perché questa sentenza risulti così vergognosa, bisogna tenere in considerazione il contesto legislativo in cui è stata emessa: in Azerbaijan, un colpevole di omicidio può effettivamente scontare solo fino a 10 anni di prigione.
Tuttavia, se il delitto risulta eccessivamente cruento e intenzionale, la sentenza dovrebbe essere raddoppiata.
Proprio per questo motivo gli attivisti si sono indignati, chiedendo una pena più severa per Gulaliyev – anche per scoraggiare eventuali nuovi reati d’odio verso la comunità LGBTQ+ che in Azerbaijan sono all’ordine del giorno. Tuttavia, la corte ha deciso d’ignorare la loro richiesta.
Hafizli era uno degli attivisti più di spicco per la comunità LGBTQIA+ nel suo paese, e aveva già subito diverse persecuzioni e atti di violenza da parte delle autorità.
Le sue continue proteste, iniziative e il suo attivismo impegnato a far venire alla luce gli orrendi crimini perpetrati dalla polizia Azerbaijanese verso le persone queer non erano visti di buon occhio dalle istituzioni.
In una delle sue manifestazioni più celebri, Hafizli si era incatenato al cancello della Suprema Corte per diverse ore, prima di essere forzosamente rimosso.
Attraverso le sue parole e le sue azioni, Hafizli era diventato un simbolo di pace e di speranza per la comunità LGBTQIA+ in Azerbaijan.
Nel 2020, l’attivista aveva organizzato un funerale dignitoso a una sex worker transgender la cui famiglia si era rifiutata di reclamare il cadavere dopo il suo brutale omicidio.
La morte di Avaz Hafizli è un capitolo oscuro per la comunità LGBTQIA+ in Azerbaijan.
“L’intera comunità queer ora ha davvero paura, perché questo tipo di violenze continuano a venire giustificate da chi dovrebbe esercitare la giustizia, e addirittura celebrate da alcuni politici di estrema destra” ha commentato un’amica di Hafizli.
Sì, perché il modo e il sentimento con cui l’attivista è stato assassinato parlano chiaro: dalla rabbia delle coltellate fino alla mutilazione dei genitali, tutto parla di un odio cieco verso la sua identità e il suo attivismo, come ha ammesso lo stesso Gulaliyev.
“È palese che il movente principale dell’omicidio fosse l’identità di Avaz come persona gay” continua l’amica. “La prova sta nella mutilazione dei genitali: nessun’altra riprovevole azione poteva mandare un messaggio più chiaro”.
Ma la verità più devastante è che – secondo alcuni colleghi – Avaz se lo aspettava. Non si chiedeva neanche più “se”, ma “quando”. Quando sono le stesse istituzioni a macchiarsi di reati indicibili, come può una persona sentirsi al sicuro? E a quanti episodi di questo tipo dovremo ancora assistere prima che l’Azerbaijan cominci a muoversi verso il cambiamento?
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