Il regno d’inverno, quell’hotel in Cappadocia teatro di un magnifico dramma cechoviano
Non è un film gay ma “Il regno d’inverno” del turco Nuri Bilge Ceylan è talmente meritevole di essere visto che ve lo segnaliamo per primo. Innanzitutto non lasciatevi spaventare dalla lunghezza: sì, dura 3 ore e 16 minuti ma c’è bisogno di tempo per restituire sullo schermo l’atmosfera d’inquieta immobilità in un hotel della Cappadocia gestito da un facoltoso ex attore che però recita nella vita di tutti i giorni con la moglie insoddisfatta e la sorella reduce da un doloroso divorzio. Il lancio di un sasso che frantuma il vetro della sua jeep svelerà i rancori dei paesani che non riescono a pagare l’affitto all’attore, allargando minacciose crepe nel suo piccolo regno apparentemente tranquillo. Tensioni cechoviane, recitazione impeccabile, un grande senso del paesaggio (Nuri Bilge Ceylan è un vero pittore dell’immagine cinematografica). Magistrale Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes.
Maze Runner, il bel Dylan O’Brien nel labirinto delle paure
L’unica cosa che si ricorda è il proprio nome: Thomas. Per il resto non sa perché un ascensore l’ha catapultato nella misteriosa Radura, circondata da un altrettanto misterioso labirinto abitato dai pericolosi Dolenti. Ecco “Maze Runner – il labirinto” di Wes Ball, enigmatico fantasy che potrebbe diventare il nuovo “Hunger Games”, con la giovane rivelazione Dylan O’Brien nel ruolo del protagonista. Ma chi ama i giovani fustelli, apprezzerà il fatto che quasi l’intero cast è un florilegio di atletici ragazzotti: l’unica donna è l’intraprendente Teresa (Kaya Scodelario), anche lei sparata nella Radura dalle porte dell’ascensore traghettante e con poteri telepatici che la legano a Thomas.
Tratto dal best seller per ragazzi “Il labirinto” di James Dashner uscito in Italia per Fanucci, “Maze Runner”, primo di una trilogia con inevitabile prequel, segue il fortunato solco delle saghe young adult ma si preannuncia più dark e sospeso. Per intenditori.
I due volti di gennaio (e ottobre) sono Viggo e Kirsten
Sappiamo che la scrittrice Patricia Highsmith è maestra assoluta nel thriller sofisticato, torbido e sensuale (ricordiamo l’intrigante e bisex “Il talento di Mr. Ripley”), al punto che il grande Hitchcock s’innamorò de “L’altro uomo” per farne un film ad alta tensione. “I due volti di gennaio” è uno dei titoli della Highsmith meno noti ma Hossein Amini, sceneggiatore di “Drive”, l’ha scelto per il suo esordio alla regia che ne conserva il titolo originale. Siamo nella Grecia del 1962, una coppia di facoltosi turisti americani composta dall’affarista Chester MacFarland (Viggo Mortensen) e sua moglie Colette (Kirsten Dunst), incrocia sul suo cammino vacanziero l’ambigua guida turistica Rydal Keener (Oscar Isaac). La visita di un detective privato nella camera d’albergo di Chester si tramuterà in tragedia e coinvolgerà i tre personaggi in un gioco perverso di seduzioni e ricatti. Sulla carta sembra intrigante, soprattutto per il cast top glamour.
Denzel Washington vendicatore e giustiziere in “The Equalizer”
Esce in 300 sale per Warner Bros l’action thriller “The Equalizer – Il Vendicatore” di Antoine Fuqua, basato sull’omonima serie tv creata da Michael Slaon e Richard Lindheim (la versione italiana s’intitolava “Un giustiziere a New York”. Robert McCall è un ex agente segreto che sfiderà una banda di feroci malavitosi russi per difendere la prostituta Teri (Chloë Grace Moretz).
“Ho considerato questo film come un ritorno al passato, sulla scia dei western di Sergio Leone – spiega il regista. – C’è un antieroe, in una lotta, tendenzialmente riluttante e restio ad impugnare una pistola… Ma quando ha la possibilità di aiutare gli altri, non esita a farlo. Usa tutte le sue abilità a tal fine”.
Class Enemy, la rivolta scolastica contro il prof inflessibile
Dramma sloveno assai apprezzato dalla critica che l’ha accostato alla glaciale lucidità di Haneke, “Class Enemy” di Rok Biček racconta della tragica morte di una studentessa in un liceo che innesca la violenta ribellione di una classe contro il nuovo, inflessibile professor Robert. “La rivolta degli studenti contro il sistema scolastico, simboleggiato dal severo professore, – spiega il regista – è l’immagine riflessa dello scontento sociale globale, che sfrutta ogni (in)giusto motivo per ribellarsi contro le norme vigenti. Nel racconto, queste situazioni estreme descrivono il baratro tra due generazioni molto diverse tra di loro: baratro che la tragedia avvenuta ha maggiormente ampliato. Si tratta di un difetto, di un’interferenza nella comunicazione”.
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