DDL Zan, Il Tempo in prima pagina: “Finiamo tutti in galera. Libertà in pericolo”

Prosegue la sfiancante campagna di disinformazione da parte dei quotidiani vicini alla destra nazionale.

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DDL Zan, Il Tempo in prima pagina: "Finiamo tutti in galera. Libertà in pericolo" - il tempo 2021 05 07 6094bb406fc82 - Gay.it

La stampa nazionale che guarda a destra prosegue la sua sfiancante battaglia ideologica sul DDL Zan, quotidianamente costellata di gigantesche menzogne, spauracchi ad uso e consumo di un elettorato imboccato con cucchiaiate di sconcertante disinformazione. Il solito Francesco Borgonovo titola a nove colonne su La Verità “Svelato il bluff sulla legge Bavaglio“, sottolineando come “la proposta del centrodestra che inasprisce i reati contro i gay non dà spazio alle trappole ideologiche, fa perdere la testa a Zan e alla sinistra. Andrebbero in fumo infatti i finanziamenti milionari per manifestazioni e lezioni di indottrinamento“. Peccato che a perdere la testa nella giornata di ieri sia stato il senatore leghista Pillon, sconfitto in commissione giustizia. La proposta del centrodestra, a dir poco sconvolgente essendo in contrasto alla già esistente legge Mancino, è puro fumo negli occhi, presentata unicamente per allungare ulteriormente i tempi di approvazione del DDL Zan. I finanziamenti di cui parla Borgonovo, poi, sono da mesi slegati dalla legge già votata alla Camera, perché già approvati e blindati. 4 milioni di euro per case rifugio e centri di accoglienza per persone LGBT bisognose d’aiuto. Ma da parte di Borgonovo nulla di inedito, visto e considerato che il vicedirettore de La Verità passa le proprie giornate da una trasmissione all’altra nel diffondere fake news sulla legge.

Altro quotidiano, Il Tempo, e altro titolo a nove colonne a dir poco insostenibile. “Zan Zan e finiamo tutti dentro“, testuale, a firma Franco Bechis, convinto che “potrebbe diventare illegale contestare pratiche inumane come l’utero in affitto“.

Scrivo queste parole perché potrei non poterle scrivere più senza rischiare un procedimento penale“, esordisce drammaticamente Bechis, neanche fossimo alla vigilia di chissà quale dittatura del pensiero imposto dall’alto, e non molto più banalmente dinanzi ad un DDL che andrebbe ad ampliare una legge che esiste da 30 anni. Nè più nè meno. Se non è mai stata considerata ‘liberticida’ la legge Mancino, che sanziona e condanna frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitamento all’odio, l’incitamento alla violenza, la discriminazione e la violenza per motivi razziali, etnici, nazionali e guarda caso religiosi, non si capisce perché dovrebbe farlo il DDL Zan. Ma Bechis insiste.

Penso che uno degli orrori più terribili di questo secolo sia l’utero in affitto: disumano, bestiale, da tratta delle schiave. Credo che debba essere vietato da qualsiasi legge nazionale e internazionale e che sia in palese violazione anche della dichiarazione universale dei diritti umani. Lo ripeterei e lo scriverei con forza e decisione venisse mai a qualcuno (ma spero di no in una società democratica) l’idea di permetterlo e regolarlo per legge. Ma rischierei grosso a dirlo se fosse in vigore il Ddl Zan nel testo confuso e abborracciato che senza alcun criterio si insiste nel volere approvare, anche se tutti sanno i danni che provocherebbe. I sostenitori – in mala fede – sostengono che certo, sarebbe meglio modificarne e chiarirne alcune parti troppo generiche, ma che c’è sempre tempo di farlo una volta che diventerà legge. Sappiamo tutti che non accadrebbe mai, e quanti guai hanno combinato testi giuridici portati all’approvazione ben conoscendone le lacune solo per furore ideologico. Ecco il punto più critico e pericoloso per la libertà di espressione in Italia del Ddl Zan, lo cito come è nel testo di legge: «Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». Un testo che offre la falsa impressione di difendere l’articolo 21 della Costituzione e la libertà di pensiero, ma poi la condiziona a quel «purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». Chi ne stabilisce o meno la idoneità a suscitare atti discriminatori o violenti? Perché si lascia così indeterminata la norma, lasciandola ostaggio di qualsiasi interpretazione arbitraria?

La risposta è semplicissima. I giudici, come avviene già oggi, da quasi 30 anni, per “motivi razziali, etnici, nazionali e guarda caso religiosi“. Ci sono decine di sentenze, in tal senso, che mettono dei paletti su cosa sia istigatorio, discriminatorio, che fanno giurisprudenza. Che si faccia finta di non capire, di non conoscere quanto già avviene nel nostro Paese, è fastidioso e al tempo stesso insostenibile, faticoso, perché si ha la perenne impressione di combattere contro dei mulini a vento.

Metti caso che un gruppo di esagitati che non conosco facciano di parte di quelle mie parole un volantino o un cartello da corteo, che sfilino insieme a loro in una manifestazione di protesta che si conclude con qualche atto violento contro una clinica dell’utero in affitto (quando permessa dalla legge), o contro l’abitazione di un personaggio pubblico che notoriamente ne abbia fatto uso per avere una maternità/paternità che la natura del suo rapporto di coppia impediva, finirei sotto processo rischiando il carcere. E questa sarebbe la difesa della libertà di pensiero?“, si domanda Bechis. Come se fosse normale assaltare l’abitazione di una famiglia arcobaleno perché si è contrari alla GPA.

Questo tapperebbe la bocca e sottoporrebbe a censura qualsiasi giornale che non aderisse all’unico pensiero concesso come nei regimi totalitari. Bisogna tornare a quei regimi per trovare norme di questo tipo. Penso al lavoro che faccio, certo. Ma accadrebbe anche a qualsiasi cittadino intervistato sul tema magari in una trasmissione radio o tv o a un uomo politico. Quel testo scritto così non è da paese civile e democratico, non si può fare finta di non vederne i rischi di compressione della democrazia e della libertà di pensiero“, scrive il direttore de Il Tempo, se non fosse che l’Italia sia rimasto l’UNICO Paese civile e democratico a non avere una legge contro l’omotransfobia. Leggi altrove molto più stringenti e dure, vedi Francia, dove venne approvata dalla destra, rispetto a quella in discussione al Senato.

Sarebbe indegno di un Parlamento approvarlo così, e indegno dire come fanno alcuni leader politici – e mi sorprendo che fra loro ci sia Enrico Letta – che bisogna approvarlo così come è altrimenti si rischia di perdere tempo e allungare l’iter di approvazione della legge, che dovrebbe tornare alla Camera ed essere approvata per entrare in vigore. Che discorso è? Bisogna approvare un testo scritto con i piedi e pericoloso per la libertà di pensiero per fare prima o perché così chiede un signore come Fedez che ha molti followers pronti a sostenerlo anche se probabilmente nessuno di loro l’avrà letto? Difficile trovare bestialità più grandi di questo modo di fare politica.

Non è urgente una legge per fare una legge. È urgente una buona legge, cosa che il ddl Zan non è solo perché male scritto“, conclude Bechis, che si è evidentemente perso per strada (o è forse più utile alla causa non menzionarlo) il dossier certificato dai giuristi del Senato che ha ribadito come la tutela della libertà di espressione sia garantita all’interno del DDL Zan, senza aver trovato alcun rilievo tecnico. Un DDL non solo evidentemente scritto bene ma soprattutto chiaro, chiarissimo in tutti i suoi punti. A meno che non si voglia semplicemente affondarlo, per motivi puramente ideologici, alimentando disinformazione facendo (teoricamente) informazione. Questo è giornalismo?

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