Nella Giornata Mondiale contro l’AIDS, in quanti pensano che il virus dell’HIV colpisca solo le persone omosessuali? Troppi. Erano gli anni ’80 quando l’AIDS era considerato il cancro dei gay, perché i primi terribili sintomi e le conseguenti morti si manifestavano principalmente nei membri della comunità LGBT, all’epoca visti come malati e promiscui nei rapporti sessuali.
Quasi 40 anni sono passati, ma c’è ancora questa convinzione. E una serie di conseguenti paure e timori, come ha evidenziato uno studio che dimostra la scarsa ignoranza che si cela dietro al virus dell’HIV.
Peste gay. Flagello di Dio contro gli omosessuali. Questi erano i nomi che inizialmente si davano all’AIDS. Anche in ambito medico, dove il primo nome utilizzato era “Gay Related Immunodeficiency Syndrome (sindrome da immunodeficienza correlata all’essere gay)”.
Per due anni questo è stato il nome ufficiale della malattia, fino al 1982 quando venne ridefinito in “Acquired ImmunoDeficiency Syndrome”, da cui deriva anche la sigla AIDS.
Un po’ di storia sull’AIDS: primi casi nel mondo
Non racconteremo tutta la storia di questo “flagello di Dio“, bensì solo i primi casi, e come hanno portato i medici a pensare che colpisse solo gli omosessuali.
Era il 1980. Presso il Los Angeles Medical Center, il dottor Micheal Gottlieb visita un paziente. Ha 30 anni, gay, bianco, e presenta una polmonite, un’infezione orale causata dal fungo Candida Albicans e una seconda da citomegalavirus. Un caso mai visto prima. Passa un anno e lo stesso dottore visita un paziente affetto dagli stessi virus, anch’esso omosessuale. Sente poi parlare di altri pazienti simili.
Da qui iniziano a classificare la malattia come “sindrome da immunodeficienza correlata all’essere gay“. Nel 1982, ecco le prime infezioni anche in persone eterosessuali. Il nome cambia. In AIDS. Una sola cosa era certa: non c’è una cura. Ma mentre i medici capirono che non riguardava solamente i gay, l’opinione pubblica si era già fatta la sua idea.
Oltre che pervertiti e malati, ora i gay erano anche untori.
Il falso paziente zero: Gaetan Dugas
Non c’è motivo di soffermarsi sui numeri, si è ben consci di quante vittime l’AIDS è responsabile, e quanti danni ha causato la scarsa informazione e l’indifferenza delle istituzioni.
Ad essere additato per anni come paziente zero, è Gaetan Dugas. Si pensava che l’assistente di volo avesse contratto il virus in un Paese sconosciuto, per avere poi rapporti non protetti con persone dello stesso sesso negli Stati Uniti. L’untore numero uno, il primo che ha diffuso il virus, naturalmente in modo involontario. Come c’è una falsa convinzione sull’AIDS, c’è anche un falso paziente zero.
Una ricerca condotta qualche anno fa da da Michael Worobey della University of Arizona e Richard McKay della University of Cambridge, ha confermato che il virus arriva dai Caraibi a New York nel 1970. Non a San Francisco, come si pensava.
In quei 10 anni, il virus ha continuato a trasmettersi, contagiando le persone, etero e omosessuali, a seguito di rapporti non protetti, scambio di siringhe o in generale contatti con sangue e altri fluidi corporei.
Confrontando i primi campioni di sangue infetti raccolti e archiviati tra il 1970 e 1971 (i più vecchi al mondo), i ricercatori hanno potuto confermare che il ceppo presente nel sangue di Gaetan Dugas era lo stesso dei ceppi virali americani dell’epoca. Non era quindi il paziente zero.
Ma per Dugas il problema era doppio. Non era il paziente zero. Ma quello 0 (il numero zero), in realtà era una O (la lettera O). La lettera O era stata inserita per classificare Dugas come Out(side)-of-California“, ovvero che proveniva da fuori la California. Ma era stata letta come il numero, provocando così un errore gravissimo.
Insomma, il paziente O era solo una vittima, ma non l’untore che ha disseminato il virus negli Stati Uniti.
Credits: REUTERS/Ajay Verma
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