Giuliano Calza vince il Gay Times Honour for Fashion Fighter e si racconta a Gay.it

Il designer di GCDS premiato a Londra: "Quelle risate e quegli applausi al senato fanno male a noi, e fanno male all'Italia intera. Ma molti italiani hanno preso coscienza"

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6 min. di lettura

Giuliano Calza è certamente uno dei nuovi pionieri della cultura LGBTQ nella moda internazionale. Con la sua estetica pop, ha sempre dimostrato attenzione all’inclusività; e ci fa impazzire la sua leggerezza colorata, talvolta dissacrante, con la quale ha contribuito a celebrare la diversità della comunità queer.
Venerdì 19 Novembre 2021, al Magazine London, la sede gemella di Printworks nel cuore di Londra, Giuliano ha vinto il Gay Times Honour for Fashion Fighter, premio assegnato a chi si batte per l’inclusività LGBTQ+ e la rappresentazione nell’industria Fashion.
Giuliano, originario di Napoli, ha fondato il brand GCDS insieme al fratello nel 2015, creando un marchio di street wear innovativo, dalla forte e visibile fluidità, nello stile e nella comunicazione; una visione positiva, fresca, disincantata, dalla quale traspare una gaia genuinità, alla quale non siamo abituati, nell’universo moda, dominato troppo spesso dalle leggi del marketing e dell’esclusività costruita a tavolino.

Abbiamo incontrato Giuliano Calza per raccontare tutto ai lettori di Gay.it

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@Giuliano Calza

Che significato ha per te questo premio e perché pensi te l’abbiano dato?
Sono molto felice di rappresentare l’Italia, leggendo le testate internazionali traspare troppo spesso che siamo un paese di omofobi, mentre si può dire che siamo stati i primi, vedi Milano, ma non solo, a portare avanti, con la nostra cultura e con le numerose discipline artistiche, tante personalità della comunità LGBTQ.
Credo anche che, come quasi sempre succede, l’Italia sia molto lenta nel comprendere cosa stia succedendo e quali siano i cambiamenti della società, compresa quella italiana, mentre il mondo anglosassone è sempre più scaltro nel cavalcare le nuove onde: io, per quanto mi riguarda, ho sempre celebrato la diversità. Nella mia estetica ho  inserito artisti, trans, gay, gay icon. mi viene naturale, e c’è molto poco di marketing, ma tanto della mia cultura e visione personali.
Le persone cercano valori da rappresentare nelle aziende e qui da me per fortuna non c’è bisogno di crearli. Nel nostro marchio ho messo il mio vissuto di ragazzo talvolta maltrattato per la sua diversità, messo da parte per la mia omosessualità. Ho compiuto, come noi tutt*, un lungo percorso di accettazione. Così, quando oggi vedo arrivare Teddy Quinlivan (modella transgender ndr) in showroom e indossare un body, sono io a dire “Hey, questa deve essere la ragazza che aprirà lo show”, e non mi interessa neanche dichiararlo, per me è una cosa normale e il mio messaggio deve essere capito dagli altri; nella vita privata diventiamo facilmente amici, perché ci troviamo a parlare la stessa lingua, non si tratta soltanto di lavoro.

Nord-Sud-Ovest-Est, giallo-nero-bianco, grosso-magro-alto-basso, bello-brutto-forte-debole, tutt* finalmente hanno cittadinanza, anche nei tuoi casting. Che meraviglia! Cosa ha significato per il tuo marchio lavorare sulle nuove rivendicazioni del contemporaneo?
Penso che il non capire o il non voler rappresentare la varietà delle persone sia un sintomo di ignoranza, nella mia vita ho avuto tante esperienze all’estero, ho studio in Cina, vissuto nei college con ragazzi di qualsiasi nazionalità e punti di vita indipendenti dalla cultura e dalla sessualità e quindi per me è un pò come celebrare la mia storia personale e tutte le persone, le facce che ho incontrato e i canoni di bellezza che a me piace rivedere nelle persone.
Penso che se ho la possibilità di parlare al mondo, se posso mandare un messaggio, ritengo sia mio compito ribaltare il concetto di casting tradizionale fatto di modelle tutte famose e magre, e rappresentare la comunità di persone che sta dietro al nostro marchio, i consumatori, perché – se posso dirlo – questo marchio nasce proprio dalla spontaneità, è una traiettoria non studiata.

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GCDS ha un’ecommerce strutturato per tre categorie di utenti: Uomo, Donna, Them

Gay significa gaio. Non pensi che ce ne dimentichiamo un po’ troppo stesso?
Credo che oggi anche nella moda manchi il divertimento, la possibilità – come invece è stato per me – di fare un prodotto divertente e di semplice comprensione; ognuno può essere ciò che vuole , c’è a chi piace mettere i tacchi, chi vuole vestirsi solo di nero, ognuno può essere chi vuole.
In questo momento storico il messaggio che dobbiamo mandare è questo, la moda deve essere divertimento, gaia, e noi queer, che siamo i portavoce di quasi tutte le tendenze che nascono e che poi diventano mainstream, abbiamo sempre voglia di cambiare, di travestirci, di giocare a “gira la moda”; è come se il divertimento fosse esattamente ciò di cui la moda ha bisogno, e noi siamo qui proprio per questo.

Un tuo commento all’applauso con il quale il senato ha festeggiato l’affossamento del ddl zan. Che sensazione hai avuto?
Mi sono sentito un po’ sconfortato, non solo per il DDL Zan. Quell’applauso non mi fa sentire rappresentato, e penso a quante altre decisioni quelle persone in parlamento prendono a nome mio, persone che – che come si è visto – dimostrano ignoranza e completa mancanza di contatto con la realtà e con il cambiamento politico in atto. Tutto ciò può portarci in situazioni gravi quanto il naufragio del DDDL Zan anche su temi come economia e integrazione. Credo che con quell’applauso al senato molti italiani abbiano preso coscienza. Quelle risate e quegli applausi fanno male a noi, e fanno male all’Italia intera.

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Sistema moda e vecchi schemi di esclusione: ti senti uno di quelli che sta rendendo la moda più democratica?
Più che democratica, credo di voler avere la possibilità di collaborare con tante persone, nuovi fotografi, dare accesso a persone che hanno semplicemente una diversa conformazione fisica, o idee differenti; certo,  naturalmente è sempre un business e mi rendo conto che anche io spesso devo seguire delle regole che forse andrebbero cambiate da chi ha molto più potere di me, ma perché no, spero fra dieci anni di avere il potere per fare davvero la differenza.

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Sui social condividi molto della tua vita personale, privata, affettiva. Quanto è importante il personal brand per te?
In verità una cosa che mi sta stretta e che odio in questo periodo è il branding dei social, condivido perché mi viene naturale e anche per dimostrare che chi ha comunque un posto d’onore nel fare questo lavoro ha anche una vita molto normale e può fa vedere anche ad un ragazzino di 17 anni che si può diventare successfull anche se sei omosessuale e hai una vita diversa dagli altri; penso anche che il brand non sia incentrato sulla mia persona e quindi questa libertà mi lasci la possibilità di respirare e far crescere il brand senza preoccuparmi di quello che faccio e quello che sono. I social sono per me uno strumento di comunicazione su quello che faccio, in maniera molto reale, anzi spesso non faccio nulla per giorni perché proprio non mi va.

Modelli femminili di riferimento? Icone?
Naturalmente sono cresciuto con le icone della maggior parte dei ragazzi gay, da Britney, Cher, Madonna, oggi però nel mio lavoro quando penso ad un’icona penso alle mie amiche, alle ragazze con le quali sono cresciuto, alle donne che ho incontrato per il mondo e che mi hanno fatto desiderare di creare per loro un abito; come per la stessa Orietta (Berti ndr), quando mi è stato chiesto di disegnare i suoi abiti per Sanremo è stato super stimolante.

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Dua Lipa indossa la t-shirt Homo di GCDS

Se dovessi fare una t-shirt dedicata ai lettori di Gay.it, cosa ci scriveresti?
Una volta ho fatto una t-shirt dedicata all’orgoglio gay con la scritta Homo su glitter, indossata anche da Dua Lipa al Gay Pride; probabilmente scriverei Gay.it , lo trovo così iconic come brand che mi piacerebbe lasciarlo intatto, un pò come Barilla.

https://www.instagram.com/giulianocalza/

https://www.instagram.com/GCDSWEAR/

 

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