“I GAY? ESSERI COME ME…”

Abbiamo incontrato Pippo Baudo a Salerno, e ci ha 'regalato' qualche perla su Tv e omosessualità. "I reality show? Spaventosamente tristi". E il Pride? "Una carnevalata…"

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5 min. di lettura

SALERNO – «Ho 68 anni e non ho voglia di smettere: fin quando ‘campa’ Mike Bongiorno parlerò anch’io in Tv». Sorride Pippo Baudo, ospite del secondo degli Incontri Internazionali di Studio su “La storia e la televisione” e, all’Università degli Studi di Salerno, ci racconta la sua storia e quella di un media non poco influente di “distrazione” di massa.

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«Ho abbracciato tre generazioni: quella di Totò, Alberto Sordi e Massimo Troisi. Oggi con tutti questi reality show, veda il Grande Fratello, La Talpa e l’Isola dei Famosi, si avalla una formula voyeuristica, una brutta caduta di stile. In Tv oggi ci si copia e così si danneggiano proprio gli autori. E i programmi sono spaventosamente tristi».
È ancora possibile fare spettacoli di qualità?
Sì, è l’unica via d’uscita che ha l’Italia: bisogna puntare sulla qualità. Purtroppo c’è un momento di grande povertà dal punto di vista produttivo ma non bisogna mollare, assolutamente. Dobbiamo curare questa nostra tipicità: abbiamo inventato una televisione colta, molto attenta ai problemi del sociale. Improvvisamente siamo stati aggrediti dal commercial e la televisione commerciale ci ha indubbiamente tolto moltissimo delle nostre idealità. Se vogliamo recuperare sul piano dell’intelligenza e se vogliamo distinguerci dagli altri paesi, dobbiamo tornare a quella televisione. Non facendola uguale a ieri, perché niente ritorna come prima, ma bisogna inventarsi formule nuove.
Forse è anche un problema di Auditel

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L’Auditel era utilizzato all’inizio solo dai pubblicitari per verificare la convenienza di inserire della pubblicità in un programma. Oggi, invece, l’Auditel è diventato un indice di qualità. Questa è una cosa che viene dall’America. Ora, sembra che tutto quello che è americano sia straordinario. Ecco, abbiamo preso questa ventata americana per la quale loro dicono: ‘Se un programma è visto, automaticamente piace’. Invece non è vero! Molta gente vede un programma perché gli è imposto e poi lo odia.
I giovani e la Tv: cosa manca attualmente sul mercato?
Io consiglio ai ragazzi di fare la televisione. Non abbiamo molti ‘facitori’ di Tv, autori intendo. I ragazzi studiano ma poi non si dedicano alla scrittura della televisione. Abbiamo bisogno di sceneggiatori per il cinema, per la fiction televisiva, per il varietà. È un mestiere ricchissimo che consiglio a tutti.
È difficile inserirsi in questo mondo?
Onestamente c’è una certa pigrizia da parte dei ragazzi. Vede, quando ho cominciato a fare questo mestiere, ero appena laureato e sono andato a Roma. Anche allora era difficilissimo. Anzi, allora c’era un solo canale quindi immagini com’era difficile trovarsi un posto al sole. Però se si vuole… La vita è fatta di sacrificio, bisogna spiegare che il sacrificio ti rende più forte, bisogna far le scale. Non è che si trova immediatamente il lavoro che, notoriamente, non è a portata di mano, ma se insiste molto, alla fine, si trova.
Quale appuntamento ha azzeccato la televisione in cinquant’anni di Storia e quale, invece, ha mancato?

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La mia idea è che questo Cinquantenario servisse un po’ a raccontare quello che è stato il passato e soprattutto a fare testimonianza per quanto riguarda il futuro. Invece stanno facendo un day by day, un giorno dopo giorno… e personalmente non vedo all’orizzonte grandi prospettive.
Cosa pensa del successo di format televisivi come “Amici”, la trasmissione di Maria De Filippi?
Io ho molta stima di chi lo fa però dal punto di vista deontologico penso che non siano programmi importanti. Mettono in primo piano la mediocrità non il valore, puntando su una cosa molta furba: se io faccio vedere un cantante scadente, un ballerino scadente, tutti quelli che sono a casa, ballerini scadenti e cantanti scadenti, finiranno per credere che anche per loro ci può essere la televisione. Questo crea un circuito delle illusioni che è molto pericoloso.
Nella Storia, la Tv è stata uno strumento molto influente di comunicazione politica…
Ma vede, tutto quello che facciamo è politico. Ogni atteggiamento della nostra giornata, ogni decisione che prendiamo è politica. La televisione fa Storia. Mi ricordo che una volta incontrai Sciascia e gli dissi: “Ma secondo te, il libro, che fine farà?” e lui mi rispose: “Da te”. Obiettai: “Come da me?”, poi capii che anche i libri sarebbero finiti in televisione, che il libro sarebbe diventato un audiovisivo. Sciascia aveva avuto già questa sensazione, la percezione del futuro meccanico, materiale, del libro. Non bisogna affezionarsi a forme storiche tradizionali ma piegare la televisione ad un uso più utile che è straordinario.
Dopo il World Gay Pride del 2000 a Roma sembra che la Tv sia reticente a concedere spazi agli eventi della comunità omosessuale italiana. Sta cambiando qualcosa?

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Mah, la televisione dovrebbe rappresentare tutto quello che succede insomma, senza… Però ci vuole anche una ricerca del buon gusto. Non è che tutto quello che si fa e si vede è degno di essere ripreso, facciamo attenzione!.
Posso chiederle cosa pensa dei diritti delle persone omosessuali?
Ah ma io le rispetto moltissimo, sono esseri come me, come gli altri. Esseri umani come tutti gli altri, ecco.
Non crede che la televisione abbia la responsabilità, anche etica, di favorire la fratellanza mediando – perché si media un messaggio – la realtà omosessuale al pari di quella eterosessuale, per quella che è, una realtà appunto, descrivendo semplicemente un orientamento affettivo invece di relegarlo alla sfera privata della vita di una persona, alla formula del “si è ma non si dice” o a qualche servizio del Tg sul Gay Pride?
Io in principio sono molto tollerante e rispettoso della diversità altrui. Per cui se dovessi vedere due persone dello stesso sesso mano nella mano, insomma, anche se la visione non è corrente e quindi l’occhio scappa, non darei un giudizio negativo sul fatto, assolutamente. Penso peraltro che nel nostro paese, nei confronti dell’omosessualità, non ci sia quest’atteggiamento negativo, assolutamente. Penso però che certi Gay Pride, queste cose così appariscenti, spesso molto pacchiane, facciano molto male al mondo degli omosessuali. Perché il limite tra la denuncia, la propria auto-denuncia, e il limite del ridicolo è molto sottile. Bisogna stare attenti. Quando ho visto il Gay Pride a Roma con tutti quei carri ho detto: ‘Voi non fate bene!’, l’omosessualità va vissuta come un fatto personale, intellettuale, umano, privato, come l’amore di due persone eterosessuali. Non c’è bisogno di organizzare carnevalate”.
Mi scappa un “vabbé, ho capito, siamo alle solite“. Purtroppo non c’è il tempo per chiedere altro, per parlare di diritti, visto che la mia penultima domanda non ha avuto risposta. L’Aula Magna è stracolma di studenti, professori, colleghi. Il convegno deve iniziare e ho trattenuto Baudo per troppo tempo su temi peraltro “delicati, privati, intellettuali”. Rileggo “l’attacco” che ho scelto per quest’articolo: speriamo bene.
La giornata di studio è stata organizzata dalle cattedre di Storia Contemporanea (prof. Pietro Cavallo), Storia del Cinema (prof. Pasquale Iaccio), Storia del Giornalismo (prof. Guido Panico) del Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione. Le foto sono di Pasquale Quaranta.

di Pasquale Quaranta

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