In morte di André Leon Talley, il servo che si ribellò alla padrona

Lo vedevo giganteggiare ovunque in giro per party e sfilate. Per anni mi sono chiesto: perché non si ribella? Perché non racconta ciò che noi tutti sappiamo? E poi...

André Leon Talley
André Leon Talley anna wintour vogue america
4 min. di lettura

Si è spento all’età di 73 anni André Leon Talley, storico direttore artistico di Vogue America, primo afroamericano ad ascendere il potere esclusivista, bianco e conformista di un sistema moda in frantumazione. Nel 1975 Talley è telefonista alla Factory di Andy Warhol, dove conosce la più grande di tutte: Diana Vreeland, all’epoca direttrice di Vogue America. André diventa suo assistente e grazie a Vreeland conosce Anna Wintour, che nel 1988 diventa direttrice. Inizia così un sodalizio lungo trent’anni, nel quale André, con i suoi look eccentrici e la sua flemma bonaria, resta perennemente all’ombra di Wintour.

André Leon Talley è stato un uomo gentile che non ha esitato ad acchiappare quel che riusciva da un mondo terribile e violento. È stato anche un grande traditore, quando sul crinale del declino della propria carriera, ha sparato a zero su Anna Wintour. Talley è un personaggio su cui sentirete dire che “prima ha preso soldi, fama, opportunità e borse di Louis Vuitton, e poi ha sputato nel piatto in cui mangiava“.

Niente di nuovo. I traditori – in verità – sono spesso gli unici ribelli in grado di scardinare gli stringenti gangli dei sistemi di potere. Un traditore come André, è un traditore utile, che si è sporcato mani e coscienza – e sì, si è arricchito di soldi e gloria – ma alla fine è esploso in tutta la sua rabbia covata per decenni. E il colpo che André ha assestato al potere della più perfida e arrogante figura che sia mai esistita nel fashion system, Anna Wintour, rimarrà come l’unico atto di coraggio contro quella figura, da parte di una comunità altrimenti genuflessa al potere di Wintour.

La ribellione di André Leon Talley non è ascrivibile ad una semplice questione di etnia. La ribellione di un servo alla sua padrona mette in gioco, in questo caso come non mai, un intricato groviglio di non detti, di scelte, ambizioni e omissioni, sia del servo, sia della padrona. Difficile additare Wintour come la padrona bianca che ha messo sotto scacco il braccio destro nero. Wintour avrebbe messo sotto scacco chiunque. E però quello che abbiamo visto per trent’anni è stato proprio questo. Quello che ho visto io con i miei occhi in molteplici situazioni è sempre e solo stata l’immagine di una padrona bianca e di un servo nero. Scrivo oggi, in morte di André, questa sensazione che mi ha pervaso per anni e lo scrivo nella convinzione di fare omaggio a una ribellione mozzata, a un uomo che ha provato a lanciare il sasso in uno stagno troppo denso. Denso di un razzismo che andava oltre la questione Wintour-Talley. E denso delle ambizioni di André stesso. E della sua incapacità di rinunciare ai privilegi.

Durante le fashion week lo vedevo giganteggiare ovunque. Che fosse Milano, New York o Parigi, la fisicità di André Leon Talley disegnava una silhouette di gentile imponenza in mezzo alle fameliche folle dei party e delle sfilate. Quell’immagine di uomo grosso, immenso, dallo sguardo placido e il sorriso sornione, ha sempre proiettato dentro me una rassicurazione avvolgente, un sentimento insolito di calore, in quella girandola di acuminate freddezze e sprezzanti sorrisi che è il circo della moda.

Siccome André era alto qualche centimetro più di me, e poiché io sono alto 198 cm, si capisce bene che i nostri sguardi solevano planare sul vuoto sopra le folle e incontrarsi da un capo all’altro di uno spazio, che fosse un hangar nel Meatpacking a New York, un club fumoso di Parigi o una sala sfilate a Milano. Sembra stupido, ma io vorrei ricordare oggi – ce li ho qui, stampati in testa e anche un po’ nel cuore – quegli sguardi e sorrisi che André mi lanciava senza alcun motivo, se non quello di una istintiva solidarietà tra giganti goffi che si muovono tra corpi affusolati e scintillanti. La body positivity non esisteva nella moda. E anche oggi, è per ora uno strumento di marketing non ancora interiorizzato.

Avrei moltissimi ricordi da condividere, in particolare una chiacchierata sontuosa e davvero molto acida rispetto al fashion system che ebbi modo di condividere con André nell’attesa di una volgarissima sfilata di un cafonissimo brand americano a New York nel 2013. Ma ho riflettuto un po’ e penso di voler tenere tutto dentro me, in questa giornata di commemorazione di un gigante dell’immagine e dell’affermazione della diversità. Sì, perché André Leon Talley è stato per anni il servo al servizio della signora. E a lei si è infine ribellato. Nel 2018, a proposito di Anna Wintour potentissima direttrice di Vogue America che André aveva assistito per trent’anni, egli disse:

Anna si sceglie amici senza pietà, tra quelli che occupano i posti più alti nei loro ambiti di riferimento. E’ immune a chiunque non sia famoso e di potere.

Nel 2020, nel suo libro di memoir, André prese ufficialmente le distanze da Anna Wintour. Era la moda, bellezza. Quella di una volta, e grazie al cielo qualcosa ormai sta cambiando. Anche grazie ad André Leon Talley.

Ho sempre guardato ad André con ammirazione e una punta di rabbia. Per anni mi sono chiesto: perché non si ribella? Perché non racconta ciò che noi tutti sappiamo? Perché questo signore black e grosso non rovescia il tavolo e racconta il meccanismo razzista ed esclusivista – il contrario di inclusività – che alimenta il sentimento di inadeguatezza, che a sua volta è architrave del sistema moda? Infine André Leon Talley l’ha fatto. Ma il suo carico di problemi alimentari, le sue nevrosi e depressioni, sono diventate armi nelle mani di chi ha voluto archiviare la sua ribellione come il semplice schianto di un dinosauro frustrato.

Alle persone che hanno voglia di guardare un po’ più in là dei facili coccodrilli che oggi scorrono sulle timeline, André Leon Talley lascia l’opportunità di chiedersi: come è stato possibile che un uomo così potente, con una carriera così appagante, non sia riuscito ad essere felice?

Per commemorarlo oggi, qui, su Gay.it, credo sia giusto dare ai lettori qualche link per cogliere sfumature, pezzi di vita e accadimenti peculiari di André Leon Talley, il primo – e ancora oggi più grande – afroamericano nella storia del costume e della moda.

Consiglio fortemente queste letture:

MFF Fashion: dove si inquadra un certo velo amaro che ha cosparso la vita di André >

MarieClaire Italia: Sono un dinosauro troppo scomodo e troppo vecchio >

La potenza dei toni chiari sulle copertine di Vogue America, la pelle bianca e una donna incapace di umana gentilezza >

La mia vita è una favola e in ogni favola ci sono il male e le tenebre (in inglese, The Guardian) >

Al fashion system non importa nulla delle persone (in inglese, New York Times) >

Articolo in aggiornamento.

 

Per data di nascita, biografia e quant’altro –  vi prego – c’è Wikipedia.

 

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