Il tema dell’aborto, la sua espansione o la sua abolizione, ultimamente ricorre sempre di più nelle pagine di cronaca. Due esempi di questo rinnovato clima che anima l’opinione pubblica arrivano dai due lati opposti del mondo, e non potrebbero essere più diversi. Se, infatti, pochi mesi fa gli Stati Uniti sono stati protagonisti di un indicibile passo indietro sul diritto all’aborto con il rovesciamento di Roe vs. Wade, l’India ha invece appena deciso di fare un passo avanti, staccandosi dalla tradizione prettamente patriarcale che finora ha attraversato questo tema nel Paese.
È di giovedì scorso la decisione della Corte Suprema indiana che, con una sentenza, ha esteso il diritto all’aborto anche per le donne single. Il bisogno di specificare il “single” qui può sembrare strano, visto che i Paesi occidentali che garantiscono l’aborto non fanno distinzione per lo stato civile della donna che ne fa richiesta. In India, però, le cose sono un po’ diverse.
Nella Repubblica indiana l’aborto è di per sé legale dal 1971. Tuttavia, nel corso dei decenni il governo ha messo in atto leggi sempre più stringenti per limitarlo, anche se non per le motivazioni conservatrici che potrebbero subito venire in mente. La tradizione indiana vuole che i figli maschi siano prediletti, a cui consegue anche l’ansiosa attesa di un primogenito maschio nella famiglia. Per questo motivo, gli aborti di figlie femmine sono arrivati a milioni. Il risultato? Un’incredibile disparità tra i sessi a livello anagrafico, con gli uomini che superavano di gran lunga le donne.
Il governo ha quindi modificato il Medical Termination of Pregnancy Act, che consente di abortire tra le 20 e le 24 settimane, limitando le categorie di donne che potevano accedere all’aborto, riducendolo a sopravvissute a violenza sessuale, minori, donne con disabilità, donne il cui feto presentava gravi anomalie e – qui il punto cruciale di questa sentenza – donne sposate il cui stato civile era cambiato durante la gravidanza.
Le donne single finora non erano contemplate: se non erano sposate ma la gravidanza era comunque frutto di un rapporto consensuale, l’aborto non era consentito. Un rapporto non consensuale rientrava faceva invece rientrare la donna tra le sopravvissute a violenza sessuale.
La sentenza della Corte Suprema è subito stata definita come un traguardo storico per i diritti delle donne nel Paese e come una riforma assolutamente progressista. Non è cosa da poco se si considera che l’India conta all’incirca 73 milioni di donne single.
La decisione è arrivata a seguito di una petizione presentata alla corte da una donna single di 25 anni, incinta alla 22esima settimana. Si era appellata per poter accedere all’aborto spiegando che il compagno si era rifiutato di sposarla all’ultimo minuto e che avere un figlio fuori dal vincolo matrimoniale, per la società indiana, sarebbe stato motivo di stigma e molestie. Oltretutto, non si sentiva in grado di crescere un bambino da sola, non essendo nella giusta posizione mentale per affrontare una gravidanza.
La ragazza ha poi affermato in udienza che la legge, come precedente formulata, violava i suoi diritti costituzionali, essendo questa «arbitraria e discriminatoria per aver escluso le donne non sposate». È su questo punto che il tribunale della Corte Suprema, composto dai giudici DY Chandrachud, AS Bopanna e JB Pardiwal, si è soffermato, arrivando alla conclusione che lo stato civile di una donna non può essere motivo di privarla del diritto di interrompere una gravidanza indesiderata.
Non solo. Oltre ad aver così riconosciuto che anche le donne single hanno rapporti sessuali – una novità nella società estremamente patriarcale dell’India, per cui il sesso può idealmente avvenire solo all’interno del matrimonio –, la Corte Suprema starebbe ora esaminando un’altra petizione per abolire un’arcaica legge che risale all’epoca coloniale secondo cui, all’interno del matrimonio, lo stupro non viene considerato tale se la moglie è maggiorenne. La richiesta è quindi quella di criminalizzare lo stupro anche all’interno del matrimonio, il che costituirebbe un altro enorme passo avanti per la legislazione indiana.
L’India, da sempre estremamente tradizionalista e conservatrice, sta quindi dimostrando una progressiva apertura alla modernità, tra i pochi Paesi dell’Asia meridionale a perseguire continuativamente questa strada.
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