L’Indonesia è una delle più grandi nazioni al mondo a maggioranza musulmana. L’orientamento religioso e le leggi risalenti al periodo coloniale regolano ancora molti aspetti della società indonesiana, principalmente conservatrice. E, naturalmente, una delle principali questioni soggette alla legge è quella della comunità LGBTQIA+.
Il sesso gay è legale per i civili, tranne che nella provincia ultra-conservatrice di Aceh, anche se la discriminazione è comunque diffusa e sono note notizie di persone indonesiane arrestate o comunque perseguite dalla polizia per condotta “oscena”, trovando un pretesto nella legge anti-pornografia. È invece illegale per i membri dell’esercito.
Definito come “comportamento inappropriato”, è notizia di poche ore fa che due soldati indonesiani da poco arruolati sarebbero stati condannati a sette mesi di carcere per aver fatto sesso. La sentenza del tribunale, datata 9 novembre, ha rimosso i due soldati dalla base militare dove i due erano stanziati nell’isola di Giava, quella che viene considerata il cuore dell’Indonesia.
La sentenza del tribunale, lunga ben sessanta pagine, recita: «Gli atti degli imputati di commettere comportamenti sessuali devianti con lo stesso sesso sono stati molto inappropriati perché, in quanto soldati, gli imputati dovrebbero essere un esempio per le persone nell’ambiente circostante». Le loro azioni sono state considerate contro la legge e qualsiasi disposizione religiosa. Il che, se quantomeno segue il filo logico per cui il sesso gay nell’esercito è effettivamente vietato dalla legge, pone l’accento su come il governo e la società indonesiane non siano ancora riusciti a smarcarsi dalla visione più conservatrice per fare un passo avanti verso l’uguaglianza dei diritti.
La vicenda dei due soldati – i cui nomi non sono stati resi noti da Detik, il giornale locale che per primo ha riportato la notizia – non è di certo una novità, almeno per chi monitora l’andamento dei diritti umani nel Paese. Sebbene notizie simili in Occidente non abbiano così risalto, Amnesty International ha evidenziato come, dal 2020, ben 15 ufficiali tra polizia ed esercito siano stati arrestati o licenziati per aver intrattenuto relazioni omosessuali.
La questione dell’omosessualità all’interno dei ranghi dell’esercito è una vecchia spina nel fianco per molti altri Paesi insieme all’Indonesia, anche occidentali. Basti pensare, uno su tutti, agli Stati Uniti e alla loro polemizzata politica “Don’t Ask, Don’t Tell”. Per quanto, come nel Paese asiatico, l’omosessualità sia parzialmente tollerata all’interno della società civile, nell’ambito militare è ancora radicalmente una questione tabù che in tanti preferiscono non affrontare.
In Indonesia, poi, le reclute dell’esercito sono sottoposte a controlli e abusi molto severi e serrati. Basti pensare che solo lo scorso anno il capo delle reclute ha deciso di rimuovere un criticato criterio per valutare l’idoneità delle reclute donne, che prevedeva di sottoporsi a un “test di verginità”. La procedura era nota come il “test delle due dita”, perché durante l’esame i medici inserivano due dita nella vagina della donna per controllare se l’imene è ancora intatto o meno. La procedura, per fortuna, è stata rimossa, ma è un altro indicativo del bigottismo che ancora circonda gli ambienti militari.
Riguardo alla situazione dei due soldati indonesiani protagonisti della vicenda, Usman Hamid, direttore di Amnesty International Indonesia, ha affermato: «Questo è stato il modello crescente tra le forze armate e la polizia indonesiane negli ultimi anni, dove i membri venivano licenziati o portati in tribunale solo per quello che sono, per chi amano».
Secondo Hamid, quest’ultimo caso è solo la punta dell’iceberg: il sentimento della popolazione nei confronti della comunità LGBTQIA+ si sta facendo nel tempo sempre più ostile, complici anche le dichiarazioni dei leader politici che non fanno altro che aumentare lo stigma e le discriminazioni nei suoi confronti, e nei confronti di tutte le minoranze che compongono il Paese.
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