Quando qualche anno fa conobbi Javier Bardem, alla presentazione torinese del mirabile ‘I lunedì al sole’, rimasi impressionato dalla sua affabilità rilassata, dalla dolcezza quasi paterna, dal fascino – taurino sì, ma ‘addomesticato’ – e nondimeno dall’ironia spiccata (mi disse guardando in alto che "dormire per anni sotto di lui non doveva essere stato facile", riferendosi a una foto di scena di ‘Prima che sia notte’ che campeggia su una parete della mia camera da letto). La nostra icona spagnola, indimenticato interprete candidato all’Oscar per il memorabile ruolo del poeta gay cubano Reinaldo Arenas, medico omosessuale torturato in ‘Segunda Piel’, amante focoso etero ma sfacciatamente gay-friendly, torna al cinema con l’attesa riduzione cinematografica di un capolavoro assoluto della letteratura sudamericana, ‘L’amore ai tempi del colera’ di Gabriel Garcia-Marquez.
Una storia d’amore senza tempo, romantica all’eccesso, d’attesa infinita (53 anni, sette mesi e undici giorni) ma attenzione: non casta! Lui, Florentino Ariza, che nel frattempo va con 622 donne e ne annota gli incontri su un diario, è un placido telegrafista nonché poeta di Cartagena – Colombia – che, a cavallo tra ‘800 e ‘900 (la storia si svolge dal 1870 ai ’40) perde testa e cuore per la splendida Fermina Daza, considerata la ragazza più bella dei Carabi,
promessa in sposa a un dottore aristocratico, Juvenal Urbino, impegnato a debellare la piaga del colera in rapida diffusione nel continente. Non facile il compito del regista Mike Newell, cioè quello di riuscire a trasformare in immagini quasi 400 pagine di una vera e propria saga popolare (guerre, inondazioni, le cattedrali, i bordelli, persino le lotte di galli) che attraversa un periodo chiave della storia sudamericana e rappresenta un caposaldo nella bibliografia di Marquez influenzando più di una generazione di scrittori in tutto il mondo.
Per vestire i panni della bella Fermina, il regista inglese ha fortemente voluto la nostra Giovanna Mezzogiorno, anche per gli splendidi occhi chiari. «Un’impresa titanica» la definisce lei, che interpreta Fermina sia da giovane che da vecchia, in un’intervista a Libero.it: «Un personaggio difficile, lei è la parte concreta della storia, non quella romantica. Fa scelte razionali che paga a caro prezzo. Per me è stato più difficile ringiovanire che invecchiare:
togliermi gli strati acquistati negli anni. Dai 15 ai 33 anni ho vissuto esperienze che mi hanno fatto gioire e soffrire, ho viaggiato molto. Sono il frutto della mia storia, del mio vissuto e per tornare 16enne ho dovuto togliere tutto questo, tornare a una neutralità adolescenziale. Javier è stato un compagno fantastico, non a caso è una grande star, capace di dare la propria vita per il film che sta facendo. Un’esperienza umana, oltre che professionale, straordinaria».
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