La mia prozia sepolta in abiti femminili grazie alle amiche, storia stupenda come nel film Le Favolose

Il racconto a Gay.it di una lettrice: "Una mia prozia vissuta durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale amava vestirsi da donna ed essere chiamata al femminile..."

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le favolose roberta torre porpora marcasciano
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Airidia non poteva crederci. Quella storia le sembrava proprio di conoscerla. È bastato vedere il trailer del film con sua madre e sua nonna, e subito la memoria delle donne è tornata a una vicenda vissuta in famiglia. Così simile alla trama del docu-film di Roberta Torre “Le Favolose”, presentato in questi giorni a Venezia (qui la nostra recensione, l’abbiamo visto proprio ieri in anteprima), da spingere Airidia a raccontarci tutto.

Già lo scorso marzo su Gay.it vi avevamo anticipato alcune informazioni del lavoro di Torre che ha come protagoniste Porpora Marcasciano, Nicole De Leo, Mizia Chiusini, Sofia Mehiel, Veet Sandeh, Antonia Iaia e Massimina Lizzeri. Ma quando ieri abbiamo postato il trailer del film sulla pagina Facebook di Gay.it, Airidia è rimasta basita. Quella storia è proprio come quella capitata alle donne della sua famiglia. E chissà a quante altre in passato.

La vicenda si svolge nella provincia di Enna, e più precisamente da Piazza Armerina, nell’entroterra siculo. Siamo tra gli anni ’40 e ’60, decennio nel quale la storia giunge al suo termine, con un funerale. Ma prendiamo spunto proprio dai racconti di Airidia.

“Ho visto il trailer di questo capolavoro, e l’ho guardato con mia mamma e con mia nonna che mi hanno raccontato un aneddoto di famiglia molto simile alla storia di questo film..” ha raccontato Airidia “Una mia prozia vissuta durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale – oggi diremmo che – aveva la disforia di genere, perché amava vestirsi da donna ed essere chiamata al femminile anche nella vita quotidiana di tutti i giorni.

Con un gruppo di sue amiche, tutte quante donne transessuali (all’epoca non c’erano gli ormoni), riuscirono in un qualche modo a uscire da quel periodo orribile e oscuro e durante il periodo della ricostruzione in Italia andarono tutte quante a vivere insieme in un casolare che divenne il loro portale verso dimensioni parallele.”

Le donne fecero poi scelte diverse, ognuna prese la propria strada e si persero di vista. Ma restarono in contatto mediante una fitta corrispondenza di lettere con le quali si aggiornavano sulle rispettive vite.

“Questa mia prozia (trans) tornò a lavorare nei campi con il resto della famiglia (va detto che la mia è una famiglia molto aperta) purtroppo altre amiche di mia zia finirono sul marciapiede e alcune si ammalarono facendo sesso non protetto. Quando morì la più anziana del loro gruppo di amiche si radunarono per andare al funerale e, con grande stupore, grazie alla smisurata ignoranza dell’epoca, la videro vestita da uomo con i capelli rasati.”

Ma la storia non finisce – per fortuna – con questa amara constatazione, perché le donne fecero di tutto per dare dignitosa sepoltura alla loro amica. Racconta infatti Airidia:

“Decisero che non poteva finire così la vita della loro amica e alleata e quindi durante la preparazione per la funzione religiosa le cambiarono l’abito vestendola da donna, per ben rappresentare la sua vera identità. La bara era ormai chiusa, dunque nessuno, a parte la mia prozia e le sue amiche, seppe che in verità la loro amata sorella era passata a miglior vita nel rispetto della dignità del suo genere: una donna!”

Airidia racconta infine che in un successivo funerale svoltosi per celebrare un’altra delle donne di questo memorabile gruppo di amiche e alleate, le altre compagne si presentarono al funerale vestite in abiti femminili, destando enorme scalpore e scandalo nel paese siculo.

“Quando si presentarono al funerale erano tutte quante con abbigliamento femminile. Perché l’unica di tutto il gruppo a vivere pubblicamente da donna era la mia prozia, che se ne fregava di quello che pensava la gente, mentre il resto della compagnia cercava comunque in un qualche modo sempre di mascherare in modo velato quanto più possibile. Quindi diciamo che è la più ‘svergognata’ era proprio la mia prozia!”

Airidia spiega che la sua famiglia era la più aperta. Le donne si vedevano a casa della prozia di Airidia e lì si sentivano completamente libere di poter essere ciò che volevano, “perché in casa nostra non c’era discriminazione e quindi mi raccontava mia nonna che loro si portavano una valigetta di cartone con all’interno gli abiti femminili da poter indossare liberamente.”

“Non vedo l’ora di vedere il film in sala” ci ha detto Airidia. “Ci andrà con mia madre e mia nonna” che ha quasi 90 anni e ricorda molto bene la vicenda di sua sorella, che agì con le sue amiche in difesa della dignità della loro amata compagna e alleata di trascorsi e identità. (gf)

 

le favolose roberta torre
Un frame de Le Favolose (al cinema il 5-6-7 Settembre) – La recensione da Venezia del nostro Federico Boni >

 

 

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