Nel giorno del suo 75° compleanno, Marsha P. Johnson è stata finalmente celebrata con l’intitolazione di un parco statale di New York, a Brooklyn. Il Marsha P. Johnson State Park, che è così diventato il primo parco statale di New York ad omaggiare una persona LGBTQ di colore.
Lo Stato di New York migliorerà le strutture del parco e installerà opere d’arte pubbliche per celebrare Marsha P. Johnson e il movimento LGBTQ. Il Governatore Andrew M. Cuomo ha annunciato la storica iniziativa il 24 agosto, giorno in cui Marsha nacque, nel 1945, nel New Jersey. 28 anni fa la morte, ancora oggi avvolta nel mistero. Il corpo della Johnson venne trovato senza vita nel fiume Hudson. Insieme a Sylvia Rivera, Marsha P. Johnson prese attivamente parte alla ribellione del 1969, davanti al bar Stonewall, per poi co-fondare la Street Transvestite Action Revolutionaries (STAR), gruppo nato per aiutare le giovani drag queen senzatetto, le donne lesbiche e le persone transessuali. Johnson si identificava come gay, come travestito e come “drag queen”.
“Troppo spesso le voci emarginate che hanno spinto avanti il progresso nella città di New York e in tutto il Paese non vengono riconosciute, costituendo solo una frazione dei nostri monumenti e memoriali pubblici”, ha affermato il Governatore Cuomo. “Marsha P. Johnson è stata una dei primi leader del movimento LGBTQ e solo ora sta ottenendo il riconoscimento che merita. Dedicarle questo parco statale e installare opere d’arte pubbliche che raccontino la sua storia, garantirà la sua memoria e il suo lavoro per l’uguaglianza“.
“New York è l’orgoglioso luogo di nascita del movimento per i diritti LGBTQ con la rivolta di Stonewall più di 50 anni fa“, ha detto la vicegovernatrice Kathy Hochul. “Il Marsha P. Johnson State Park onora la donna transgender di colore che ha guidato la lotta per l’uguaglianza dei diritti e la giustizia per tutti. Con la pandemia COVID-19 e il movimento Black Lives Matter, ora più che mai dobbiamo continuare la lotta per l’uguaglianza LGBTQ e la giustizia razziale nella nostra società“.
La notte della rivolta contro la polizia allo Stonewall INN, Marsha lanciò un bicchiere contro uno specchio, nel locale in fiamme, urlando “I got my civil rights” (“Anche io ho i miei diritti civili”). All’epoca viveva per strada e si prostituiva per sopravvivere. Finì in carcere un centinaio di volte. Passò gli ultimi 12 anni della sua vita nell’appartamento di Randy Wicker, che non ha mai creduto alla tesi del suicidio. Poco dopo il Pride del 1992, il suo corpo fu trovato nel fiume. La polizia chiuse rapidamente il caso, etichettandolo come suicidio. Ma gli amici e conoscenti di Marsha, icona LGBT in tutto il mondo, non hanno mai creduto a questa tesi. Non a caso la sua testa riportava “un’enorme ferita“. Marsha andava in giro a raccontare che la mafia la voleva morta. Mafia, va ricordato, che all’epoca gestiva i bar gay della Grande Mela, Stonewall Inn in testa. Il corpo di Marsha fu cremato e le sue ceneri furono sparse nel fiume dai suoi amici. La polizia permise che la Settima Avenue venisse chiusa, mentre le sue ceneri venivano portate al fiume. Nel 2012 l’attivista Mariah Lopez è riuscita a far riaprire il caso dal dipartimento di polizia di New York per classificarlo come possibile omicidio.
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