Milano: l’evento “Tunisia e Italia: insieme per i diritti LGBT*QI”

Si è tenuto alla Casa dei Diritti l'evento organizzato da Ponte Arcobaleno per fare il punto sulla situazione omosessuale in Tunisia

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Ieri pomeriggio un interessante evento, organizzato da Ponte Arcobaleno con la collaborazione del Coordinamento Arcobaleno TLGB Milano, Amnesty International – Gruppo 100 Milano e I sentinelli di Milano si è tenuto nella Casa dei Diritti in Via de Amicis, cuore pulsante di iniziative sul genere.

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“Tunisia e Italia: insieme per i diritti LGBT*QI” è stato un confronto tra due culture, quella occidentale e quella araba, che da sempre sono a contatto generando spesso conflitti, reali e ideologici. Uno di questi è la controversa opinione sull’omosessualità, che ha visto la Tunisia tristemente protagonista di episodi a dir poco discriminatori: dalle ultime rappresaglie omofobe contro la comunità LGBT alla storia di Skandar e Brahim raccontata da “Terra!”, ragazzi accusati di sodomia e arrestati (tuttora detenuti).

Proprio dalla loro storia si è partito, con l’intervento di un’avvocato che sta diventando un vero e proprio simbolo di militanza nel Paese: Fadua Braham, che si è occupata e si occupa ancora dei casi e che noi avevamo già ascoltato varie volte. Oltre a lei è intervenuto anche Nadhem Oueslati, attivista di DAMJ (Associazione Tunisina per la Giustizia e l’Uguaglianza).

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Dopo la trasmissione del servizio (qui per rivederlo), Fadua ha commentato le immagini e ribadito alcuni punti di un discorso ormai ben noto. “Sono qui perché voglio parlare a loro nome e voglio ringraziare tutti voi”, ha esordito l’avvocato. “Prima di Skandar e Brahim e degli altri quattro ragazzi io non avevo mai seguito casi di questo tipo: solo nel settembre 2015 ho iniziato a occuparmi della loro vicenda. Mi aveva colpito lo sguardo perso di uno dei ragazzi: erano presenti i suoi amici e alcuni suoi familiari al momento della denuncia ma egli non voleva che la madre sapesse nulla”.

Fadua ha infatti difeso inizialmente sei ragazzi accusati di sodomia: attualmente due, Skandar e Brahim appunto, sono ancora in carcere a scontare la loro pena. “La seconda volta che sono stati arrestati, dieci giorni dopo il rilascio dalla prima accusa, è stata aggiunta l’aggravante dell’articolo 232, secondo il quale i ragazzi avrebbero usato la casa dove erano in affitto, intestata a loro, come luogo di prostituzione. L’accusa ovviamente era falsa”. Gli altri invece sono liberi, ma non se la passano così meglio: “Ali per esempio, prima di essere scarcerato non aveva problemi con la famiglia; ma dopo il processo il padre ha deciso di non prenderselo più a carico, per l’attenzione mediatica che aveva attirato sulla famiglia. Nonostante tutto i ragazzi hanno deciso di denunciare la polizia e l’ordine penitenziario più quello dei medici per i soprusi subiti”. E continua: “La situazione è molto grave: molti vengono subito abbandonati dalla famiglia, altri vivono invece una forte pressione dai vicini e dalla società. Spesso alcuni familiari praticano anche torture fisiche, i giovani oltre a ritrovarsi per strada perdono anche le figure di riferimento”. Tutto questo avviene soprattutto a Kairouan, culla omofobia della Tunisia: “Basti pensare che dopo gli arresti fu messo per iscritto che i ragazzi avrebbero portato il degrado in città, come se questa avesse la facoltà di autodecidere cosa sia giusto e sbagliato per se stessa. Nello stesso luogo anni prima veniva fatto lo stesso per ebrei e ‘diversi’ in generale”, afferma Fadua.

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Il problema è sempre il famoso articolo 230 del Codice Penale che condanna l’omosessualità, lascito del colonialismo francese risalente addirittura al 1913: in teoria la nuova Costituzione del 2014 contrasterebbe con questo provvedimento anacronistico, ma di fatto non viene applicata. “La Costituzione attuale salvaguarda l’integrità fisica e morale, quindi l’articolo 230 sarebbe incostituzionale…“. E alla domanda se alla Francia interessi che questo provvedimento venga eliminato Nadhem replica: “Gli uomini politici francesi non vogliono avere problemi col governo tunisino. Basti pensare che nel 2010 avevano appoggiato Ben Ali (il sovrano-dittatore assoluto caduto nel 2011, ndr)“.

Secondo Fadua la situazione è ancor più problematica per le lesbiche: “Sono doppiamente discriminate in quanto donne e in quanto lesbiche. Non avendo un marito e non sottostando alla sua egida, sono fortemente in pericolo nel nostro Paese”. E la situazione è destinata a peggiorare, visto il nuovo focolaio omofobico attualmente scoppiato nel Paese. La cosa utopica secondo Nadhem è che la Tunisia è uno degli Stati dell’Africa occidentale meno coercitivi nei confronti degli omosessuali: qui, a differenza ad esempio dell’Algeria, quantomeno le associazioni LGBT non sono contrastate dal governo e vengono parzialmente riconosciute. Una soluzione potrebbe essere la possibilità per questi ragazzi di richiedere asilo politico, ma Nadhem e Fadua sono piuttosto rassegnati: “È molto difficile ottenerlo. Basti pensare che la Germania ha dichiarato la Tunisia uno Stato sicuro, e per questo più di 150 persone che avevano richiesto asilo politico lì ora non potranno ottenerlo”.

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Cosa si può fare quindi concretamente per aiutarli? “Mediatizzare il loro caso e intaccando l’opinione pubblica con le loro storie: la rivoluzione non partirà dalla politica ma dal basso, per questo bisogna prima di tutto sensibilizzare la popolazione”. Tutto questo clamore non potrebbe forse essere un rischio per l’incolumità dei ragazzi stessi? “No, i giovani riceveranno anche una protezione, ma la loro storia deve diventare portavoce di istanze di cambiamento”, afferma con fermezza Fadua.

C’è anche un altro modo di contribuire alla causa, attraverso una piccola donazione: potete effettuarla a questo link tramite Ponte Arcobaleno o facendo un bonifico a questo IBAN, creato appositamente per la causa.

IBAN: IT25 K033 5901 6001 0000 0120716, intestato a “Centro d’Iniziativa Gay Arcigay” con causale “Ponte Arcobaleno”.

Il fondo servirà a pagare le spese legali (anche se Fadua lavora gratuitamente) e quelle mediche, oltre che a contribuire all’affitto e alla ricerca di un alloggio nel periodo post detentivo.

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Chiudendo con una nota positiva, Nadhem ha spiegato quali sono i progetti per i festeggiamenti del 17 maggio, Giornata Internazionale contro l’Omofobia: “Festeggeremo ancora di più, ci sarà un grande festival femminista e più di 30 associazioni raccolte. Noi di DAMJ pubblicheremo un ‘manuale di sicurezza’ per gli omosessuali tunisini e faremo di tutto per sensibilizzare al tema”.

 

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