I ruoli di genere sono una barzelletta che ci hanno raccontato così tante volte da prenderla per vera.
Oggi nell’anno del nostro signore 2024 stiamo ancora a combattere contro quegli stereotipi considerati ‘universali’, mentre chi disapprova viene a dirci che è solo una tendenza woke del nuovo millennio.
Ma c’è chi lo faceva già 9000 anni fa, senza stare tanto a disquisire: nel 2018 Randall Haas, archeologo all’Università della California, a Davis, insieme al suo team di ricercatori era convinto di aver rinvenuto le ossa di un ‘grande cacciatore, molto importante per la società“. Ma caddero dal pero: i 24 utensili – tra cui punte litiche, rocce pesanti, piccoli frammenti di pietre, piccole scaglie affilate, grumi di ocra rossa insieme a frammenti di ossa sparse di animali tra cui lama e cervi – appartenevano ad una persona biologicamente femminile.
A seguire arrivarono altre ricerche e nuovi dati: almeno il 30% e il 50% dei cacciatori, non erano uomini.
Come spiega Pamela Geller, archeologa presso l’Università di Miami, continuare a pensare che le donne raccoglievano frutta e accudivano la prole mentre gli uomini cacciavano i grandi mammiferi dipende molto dall’interpretazione che diamo ai dati, o dalla nostra conoscenza e percezione del mondo, di cui lui stesso Haas si dichiara “responsabile come tutti gli altri”.
Stando ad un articolo di Independent Uk dello scorso Novembre, alcune ricerche ritengono che il corpo biologicamente femminile fosse più ‘equipaggiato’ alla caccia, grazie ad ormoni come estrogeni e adiponectina che permetterebbero una resistenza prolungata e una maggiore velocità nei movimenti. Secondo questa prospettiva, Cara Ocobock, dall’Università di Notre Dame negli Stati Uniti definisce “le cacciatrici delle maratonete e i cacciatori dei sollevatori di pesi”.
Il team di archeologi ha confermato il sesso biologicamente femminile attraverso una proteina dello smalto dentale che è correlata al sesso, ribadendo che questo non può (ovviamente) verificare l’identità di genere dellə defuntə (che avrebbe potuto identificarsi nel genere opposto o in nessuno dei due).
“Con poche eccezioni, i ricercatori che studiano i gruppi di cacciatori e raccoglitori – indipendentemente dal continente su cui lavorano – danno per scontata un’universale e rigida divisione sessuale dei compiti e delle attività”, spiega a National Geographic, l’archeologa Geller “E poiché è l’opinione più comune, poi trovano difficoltà a spiegare perché i resti di individui dal corpo femminile abbiano segni scheletrici riconducibili alle attività di caccia o utensili per la caccia nel corredo funebre”.
Il gruppo di Haas rileva che tra le 27 sepolture di 429 con individui sepoltə con utensili per la caccia, almeno 11 erano di sesso femminile – inclusi i resti sopra citati – mentre 16 erano di sesso maschile.
C’è chi rimane scettico, tipo il professor Kim Hill dell’Università statale dell’Arizona che ritiene una donna non potrebbe mai fermarsi “nel bel mezzo di puoi fermarti nel bel mezzo di una battuta di caccia al cervo per allattare un bambino che piange”. Secondo Hill non è sicuro che quegli utensili siano per forza utilizzati dall’individuo per cacciare: in alcuni casi gli utensili potrebbero non essere stati sepolti nello stesso momento dei resti o potrebbero essere state le armi con cui sono state uccise e sepolte quelle vittime. Oppure potrebbero essere lì per credenze religiose o simboliche.
Al contempo, la professoressa Kathleen Sterling – archeologa presso la Binghamton University – rende presente che questo tipo di supposizioni non vengono mai sollevate quando i resti dell’individuo sono di sesso biologicamente maschile, ma “solo quando vengono messe in dubbio le nostre convinzioni sul genere che ci poniamo dei dubbi”.
Come nota di nuovo la professoressa Geller, ampia parte del corredo funebro prevede anche strumenti preziosi e rari – come punte litiche difficili da realizzare – che rende improbabile fossero messi lì solo per ‘commemorare’ lə defuntə. “C’è così tanta ginnastica mentale da fare per cercare di dissipare questi pregiudizi” dichiara Geller a National Geographic, concludendo che alla luce della disparita di genere che viviamo ancora oggi, questo approccio alimenta preconcetti ” pericolosi e del tutto infondati”.
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