Cosa può fare la psicologia per le persone LGBTQ+ in difficoltà? Intervista allo psicologo Mattia Cis

"I genitori devono affrontare il lutto delle loro aspettative, che sono culturali".

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La stagione del Pride 2022 che volge al termine sarà ricordata come quelle delle prime volte. Il Pride 2022 è stato il primo dopo 2 anni di stop causati dalla pandemia. Il Pride 2022 è stato il primo ad essere organizzato in città, come ad esempio Viterbo, che fino ad oggi non avevano sostenuto apertamente le persone LGBTQ+. Il Pride 2022 è stato il primo vissuto in comunione con le persone etero-affettive famose o no che si sono spese a favore della causa. Elodie ci ha messo la faccia, proprio nel suo periodo d’oro. In passato, possiamo dircelo adesso, c’è chi ha usato il Pride per ritornare sulla cresta dell’onda.

Sarebbe bello arrivare al Pride 2023 con il raggiungimento della parità piena tra persone etero ed omoaffettive, l’approvazione del DDL Zan, l’apertura del matrimonio alle coppie LGBTQ+, il riconoscimento delle famiglie arcobaleno, l’avvio di un iter che permetta a gay e lesbiche di diventare genitori in patria.

 

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Il condizionale è d’obbligo perché i principali partiti italiani, dopo le amministrative, hanno – di fatto – iniziato la loro campagna elettorale. Lo si capisce dal progressivo spostamento d’attenzione dall’economia ai diritti sui quali, in Italia, in particolare, vige la logica del talk show televisivo.

Chi ha tempo, sostiene il saggio, non aspetti tempo e dopo gli anni scanditi dai vari lockdown non possiamo più, come comunità LGBTQ+, aspettare che un altro soggetto gestisca la nostra felicità.

Per questo motivo abbiamo raggiunto Mattia Cis, psicologo e co-fondatore degli Psicologi On Line. Per capire come stare meglio come persone, non solo come cittadini.

 

Cosa può fare la psicologia per le persone LGBTQ+ in difficoltà? Intervista allo psicologo Mattia Cis - Schermata 2022 07 14 alle 19.18.33 - Gay.it
Mattia Cis, psicologo e co-fondatore degli Psicologi On Line.

 

Iniziamo parlando dell’anno zero. Che ripercussioni ha avuto la pandemia sulle persone LGBTQ+?

La pandemia è stata per tutti un periodo di grande difficoltà perché è stato un fattore di stress che ha esacerbato tutto quello che era già lì e che in molti casi è venuto fuori o peggiorato.

Per quelle persone che convivono con un segreto, soprattutto in famiglia, è stato un periodo molto duro. Tra queste ci sono le persone LGBTQ+ che soprattutto da giovani non hanno coraggio di dire chi sono.

Senza la sperimentazione con i coetanei e l’esplorazione del Mondo lo stress, in taluni casi, è aumentato e ha creato dei coming out forzati.

Le persone hanno dovuto dire prima del tempo quello che sono o pensano di essere in uno stato di stress e conflitto. Abbiamo visto coming out che hanno funzionato male perché erano troppo primitivi o nascevano da discussioni, sofferenze.

 

Come si è manifestato questo malessere?

Chiariamo una cosa su cui ci sono ancora delle incomprensioni. Le persone LGBTQ+ non hanno delle psicopatologie specifiche. Essere gay non vuol dire soffrire di bulimia o ansia.

Il malessere nasce dall’omofobia perché è la società ad essere culturalmente psicopatologica. Non sono le persone a non essere adatte.

 

Cosa può fare uno psicologo con una persona LGBTQ+ in difficoltà?

Per prima cosa dare un nome alle cose. Disegnare un contenitore con il paziente affinché si arrivi in uno stato di normalizzazione. Se tu, come persona, non puoi essere ciò senti di essere è normale essere tristi.

Dopo di che si lavora sulle esperienze negative che hanno portato la persona a credere di non valere, di non poter essere quello che è.

Sulle questioni di genere il lavoro è mettere in contatto la persona con quello che è o quello che pensa di essere.

Tante persone non accettano di sentirsi come si sentono e quindi sono in lotta. Riconoscersi in un genere diverso da quello della nascita non è di per sé un problema. Lo è se lo vivi male.

 

Quando arriva la consapevolezza?

Arriva più tardi perché sono aumentate le categorie. Non ci sono più solo quelle binarie e precise che aiutavano solo chi si riconosceva effettivamente in quella definizione.

Oggi ci sono più dubbi e tutto avviene in un percorso più lungo. Oggi avere rapporti sessuali o affettivi con persone del proprio sesso fa parte di un percorso che non ti definisce.

Non ci metti di meno perché hai più opzioni. Non tutte le persone riescono a raggiungere questa consapevolezza prima dell’età adulta. Per questo motivo possono accadere dei cambiamenti anche dopo.

Esistono persone che hanno un vero cambio nell’età adulta. Lì è importante capire se è qualcosa che c’è sempre stato ed è stato represso e viene fuori con la sicurezza dei 40 anni o se è una reazione a qualcos’altro.

Siccome la sessualità e l’affettività sono pilastri della nostra vita se ci sono cambiamenti forti è giusto dargli il giusto spazio.

 

I genitori come vivono questo percorso?

Continuano ad essere spaventati perché non hanno il controllo su ciò che avviene. Si trovano davanti a qualcosa che non conoscono bene e che potrebbe far soffrire il figlio o la figlia.

I genitori devono affrontare il lutto delle loro aspettative che sono culturali.

È un processo normale che capita anche con un figlio eterosessuale che a un certo punto deve distaccarsi dalla famiglia. Il genitore deve imparare a lasciar andare.

È una forma di omofobia interiorizzata pensare sempre all’omosessuale come vittima.

 

Perché hai scelto di fare lo psicologo?

Per curare me stesso. Mi sono subito reso conto che volevo essere felice e che mi servivano gli strumenti giusti.

Ho avuto una storia familiare complicata. I miei hanno avuto un divorzio difficile che è durato tanti anni. Sicuramente essere cresciuto come un bambino omosessuale, in questa situazione, non ha aiutato a rafforzare l’autostima.

Nel 2020 hai lanciato con Mauro Orso gli Psicologi On Line, una piattaforma che permette alle persone di fare terapia anche attraverso un computer.

 

Come sta andando?

Con il nostro portale le persone hanno scelto di intraprendere un percorso con uno psicologo per la prima volta. Evidentemente siamo riuscendo a rispondere a un bisogno che prima era nascosto e non aveva la forza di emergere.

Molto han fatto, in questi anni, influencer e creator che hanno sensibilizzato le proprie community sull’argomento.

I primi studi fatti, inoltre, sulla terapia on-line dimostrano he ha la stessa efficacia di quella fisica perché la vera differenza la fa la relazione che si crea tra il paziente e il terapeuta e questa può avvenire anche tramite computer.

Photo credits: Mattia Cis + Ben Weber

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