Ci sono film che bisogna accogliere come un flusso ininterrotto d’immagini, che si oppongono a eccessive razionalizzazioni, la cui materia narrativa è più simile a quella destrutturata di un sogno che a un’esperienza reale. È il caso dell’intrigante O Ornitologo del regista portoghese Joâo Pedro Rodrigues che abbiamo visto al 34esimo Torino Film Festival nella sezione Onde, quella più sperimentale e destinata ai videoprodotti meno allineati.
Una bizzarra fantasticheria catto-animista su un ornitologo gay, Fernando (il fascinoso modello e attore francese Paul Hamy), che si troverà a vivere esperienze simili a quelle di Sant’Antonio da Padova – il suo vero nome era Fernando Martins de Bulhôes – per poi ‘reincarnarsi’ nel regista stesso e giungere alle porte della cittadina veneta.
All’inizio del film Fernando si trova su un kayak a Trás-os-Montes, una selvaggia zona boschiva a nord est del Portogallo. Sta osservando con un binocolo alcune rare cicogne nere. A causa di una rapida che risucchia e capovolge il kayak, resta tramortito sulla riva del fiume. Viene soccorso da due lesbiche cinesi in pellegrinaggio sulla via per Santiago di Compostela ma smarritesi nel bosco. Costoro si rivelano due vere erinni: lo legano come un novello San Sebastiano (lui resta in mutande e osserva la potente erezione che tenta di farsi strada fra i nodi) con l’intento di castrarlo.
Seguiranno eccentrici incontri, all’insegna di una mitologia imprevedibile che accosta le icone cristiane al paganesimo bucolico: dal pastorello sordomuto che si fa allattare da una capretta e si accoppierà proprio con Fernando in una liberatoria scena naturista d’amore esplicito en plein air, a una strana setta di uomini mascherati da uccelli piumati che sembra esperire esoterici riti notturni intorno a un fuoco, di cui Fernando teme essere la vittima predesignata: trova infatti vicino ai resti del falò la sua carta d’identità con due fori al posto degli occhi. Non manca un agguerrito gruppo di amazzoni cacciatrici a seno nudo e il fratello gemello del giovane pastore che nell’ultima parte del film – la meno riuscita e più confusa – dà una svolta lacaniana alla vicenda con riflessioni pseudo-mistiche sul tema del doppio e dello specchio (subentra il vero regista che si sostituisce al protagonista).
Rodrigues tenta – e in parte ci riesce – ciò che Derek Jarman aveva fatto con Sebastiane, ovvero rendere queer ed eroticamente palpabile il sacro, in una commistione molto personale di religiosità spiritista e istinto, un’immersione nella natura selvaggia dove l’innesto dell’umano ha qualcosa di pulsionale e liberatorio.
Magnifica la regia – premiata al Festival di Locarno – che rende un affascinante corpus unico sia la serie di vertiginose soggettive di aquile e cicogne che alcune sofisticate inquadrature ispirate alla pittura caravaggesca. La rilettura liberissima della vita di Sant’Antonio da Padova non ha in realtà nulla di sacrilego o irridente, bensì vuol essere una reinvenzione visionaria e onirica all’insegna della pura creatività espressiva in cui l’elemento queer infonde carnalità e passione vitale.
O Ornitologo è uscito mercoledì scorso in Francia ma non ha ancora una distribuzione italiana.