Oltre gli stereotipi e il privilegio bianco, e non solo su Grindr, a Sherocco Mighel Shema – intervista

L'attivista ha parlato a Gay.it degli effetti collaterali del razzismo interiorizzato e come superarli.

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Il festival Sherocco inizia giovedì 29 giugno a Ostuni e ha annunciato ieri due nuovi eventi che si aggiungono a un programma già ricchissimo: un dj set che vedrà alla consolle la performer e artista Silvia Calderoni (anche consulente creativa del festival, qui la nostra recente intervista) e poi M¥SS KETA (30 giugno), e la performance di Motus Of the Nightingale I Envy the Fate (1 luglio).

Ad affiancare lo Sherocco Village, non mancherà nemmeno quest’anno la Sherocco Academy, prima summer school internazionale e intersezionale sugli studi di genere e la teoria queer, che si pone l’obiettivo di individuare le gabbie della società eternormata, e al contempo, aprire una riflessione attiva su come uscirne (qui potete leggere la nostra intervista a Sara Garbagnoli, ricercatrice indipendente associata al centro di ricerca LEGS dell’Università Parigi 8 e al centro di ricerca PoliTeSse dell’Università di Verona, e parte del comitato scientifico di Sherocco insieme alle altre organizzatrici Maya De Leo e Francesca Romana Recchia Luciani).

Tra i super ospiti delle quattro giornate, abbiamo chiacchierato a distanza con l’attivista Miguel Shema, che affronterà il tema del razzismo e del privilegio bianco all’interno di Sherocco Academy. Shema, studente di medicina e giornalista per Bondy Blog, amministra due account Instagram: con @sante_politique (salute e politica) indaga il rapporto che l’ambito medico ha con i corpi dei gruppi minoritari razzializzati, mentre con @pracisees_vs_grindr (persone razzizzate vs Grindr) studia il funzionamento del razzismo nel caso della feticizzazione subita dalle persone razzizzate.

Ecco cosa ci ha raccontato.

 

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Ci racconti la genesi di Personnes Racisées Vs Grindr? Quando è stato l’esatto momento in cui hai deciso di crearla?

Qualche anno fa seguivo un account instagram chiamato “Femmes noires vs dating app” (“Donne nere vs dating app”), e mi sono detto che ci sarebbe dovuto essere uno stesso account per le persone queer. Un giorno, uscendo da una visita medica ho aperto Grindr e ho ricevuto un messaggio che diceva: “Cerco cazzo nero”, ed è stato un messaggio razzista di troppo. Ho iniziato pubblicando tre screenshot di commenti razzisti che avevo ricevuto su Grindr, e senza nemmeno bisogno di chiederlo altre persone hanno iniziato a mandarmi i loro screenshot di feticizzazione e razzismo che hanno incontrato su Grindr.

Perché secondo te sulle dating apps razzismo e feticizzazione sono più facilmente “legittimate”?

In realtà, credo che ciò che cerco di evidenziare con il mio lavoro non sia limitato alle app di incontri, ma sia piuttosto un fenomeno generalizzato. Nella mia vita, e fin dalle scuole medie, mi sono trovato di fronte a commenti del tipo “È vero quello che si dice dei neri?”, che sottintendevano: “È vero che gli uomini di colore hanno dei cazzi enormi?”. Anche se il nome dell’account è “Personnes racisées vs Grindr”, (“Persone razzizzate vs Grindr”), la mia preoccupazione non è tanto Grindr in sé, quanto piuttosto il modo in cui la razza condiziona le interazioni, le relazioni. Se la feticizzazione fosse limitata alle app di incontri, la vita sarebbe più facile. Il mio obiettivo è analizzare perché le persone ci vedono e ci parlano nel modo in cui lo fanno, e per dare un senso a tutto ciò dobbiamo tornare alla storia della schiavitù e della colonizzazione.

Quali sono gli stereotipi più pericolosi che le persone razzializzate possono incontrare nel campo sanitario e/o perché non se ne parla mai abbastanza?

Purtroppo ce ne sono troppi, ma possiamo parlare della [cosiddetta] “Syndrome méditerranéen” (Sindrome mediterranea), che è tutto fuorché una sindrome: in pratica è una convinzione del sistema medico secondo cui le persone arabe avrebbero la tendenza a esagerare nel riferire i loro dolori, quindi a volte i professionisti della salute non prendono sul serio il dolore degli arabi. Il fatto è che l’unico in grado di valutare il dolore del paziente è il paziente stesso. Nessun operatore sanitario può valutare scientificamente il dolore del paziente, perciò non c’è nulla a parte il modo in cui il medico vede il paziente a determinare il modo in cui il dolore del paziente viene gestito, o non viene gestito. Ovviamente quella che chiamiamo “sindrome mediterranea” non è più nei libri di medicina, lo era molti anni fa ma ora non lo è più. Eppure alcuni medici o infermieri – e sono troppi – credono ancora in questo concetto razzista, nato durante il periodo coloniale. Esiste anche la convinzione che le persone nere sopportino di più il dolore rispetto a quelle bianche, ed è un un altro concetto diffuso durante il periodo coloniale. Studi inglesi, americani e canadesi hanno dimostrato che, a parità di lesione, i neri ricevono meno farmaci antidolorifici rispetto ai bianchi. C’è molto lavoro da fare rispetto al razzismo presente nel sistema sanitario.

Se lo sguardo bianco è quello dominante, quali sono i primi step per rimetterlo in discussione?

Il primo passo è riconoscere che esiste un punto di vista bianco. Il primo passo è capire che siamo cresciuti nella società che ci insegna a vedere il mondo attraverso lo sguardo bianco. E capire questo è un lavoro non indifferente. Anche le persone razzizzate interiorizzano il discorso razzista dominante e vedono se stesse e il mondo attraverso questo sguardo bianco. Viviamo in una società in cui lo sguardo bianco si presenta come fosse neutrale. C’è una frase magnifica dell’intellettuale lesbica e femminista Monique Wittig [nel saggio The straight mind, quando parla di lotta di classe tra donne e uomini]
che dice:

«E solo quando scoppia la lotta si manifesta la realtà violenta delle opposizioni e la natura politica delle divergenze. Finché le opposizioni (differenze) appaiono come dati, già lì, prima di ogni pensiero, “naturale” – finché non c’è conflitto e lotta – non c’è dialettica, non c’è cambiamento, non c’è movimento. Il pensiero dominante si rifiuta di ripiegarsi su se stesso per cogliere ciò che lo mette in discussione».

Quindi è attraverso la lotta, mettendo in discussione ciò che è in apparenza “neutro” o “naturale”, che possiamo sfuggire allo sguardo bianco.

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