La scorsa settimana è stato depositato il ricorso della Procura Generale della Repubblica contro la sentenza della Corte di Appello di Perugia che ha assolto il Sen. Simone Pillon dalle accuse di diffamazione nei confronti dell’associazione Omphalos LGBTI. La sentenza di assoluzione della Corte di Appello aveva ribaltato la condanna comminata in primo grado. Il ricorso della Procura si aggiunge a quello già presentato a maggio scorso dalla stessa associazione per la parte civile.
«Accogliamo con grande soddisfazione la notizia del ricorso della Procura della Repubblica – ha dichiarato Stefano Bucaioni, presidente di Omphalos LGBTI – avevamo già commentato a suo tempo che la sentenza di Appello ci sembrava illogica e ingiusta e siamo felici che la Procura abbia sollevato gli stessi dubbi. Ora sarà la massima corte a doversi esprimere su quanto accaduto e confidiamo che venga pienamente ripristinata la condanna al Sen. Pillon, già inflitta in primo grado. Nessuno si può permettere di dire che Omphalos “adesca minorenni” o che “istiga ai rapporti omosessuali”, infangando e diffamando il lavoro trentennale di centinaia di volontari e attivisti che hanno sostenuto la lotta alle discriminazioni nella nostra regione.»
Il ricorso per Cassazione, presentato dal Procuratore Generale della Repubblica, sostiene che la Corte di Appello di Perugia ha travisato lo schema giuridico-fattuale del reato contestato, motivando i propri assunti con argomenti illogici e contraddittori. Secondo la Procura è “sicuramente diffamatorio affermare, come ha fatto l’imputato, che il rappresentante di Omphalos ebbe a pronunciare parole che istigavano all’omosessualità” e “non si può certo scriminare colui che mistifica i fatti per arrivare a descrivere Omphalos e coloro che ne fanno parte come adescatori di minorenni, istigatori ai rapporti omosessuali e negazionisti dell’eterosessualità”.
«Come abbiamo più volte ricordato, anche in occasione delle recenti polemiche sul DDL Zan – continua Bucaioni – nessuno nega al Sen. Pillon il diritto di esprimersi contro l’omosessualità, per quanto medievali e fuori dal tempo possano essere le sue esternazioni. Ciò che il Sen. Pillon, e chiunque altro, non può fare è sostenere tali opinioni diffamando le associazioni LGBTI e raccontando il falso. Questa non può essere considerata critica politica, altrimenti sarebbe tutto permesso. Attendiamo fiduciosi il responso della Corte di Cassazione, convinte che venga finalmente fatta giustizia.»
Pillon aveva di fatto additato gli attivisti LGBT come ‘adescatori di minorenni’, nel 2014, nel corso di una serie di dibattiti pubblici. Lo scorso febbraio la corte di Appello aveva assolto il senatore, inizialmente condannato in primo grado per diffamazione, perché a loro dire il “fatto non sussiste“. “Mi auguro che da oggi in poi nessuno si permetta più di portare nelle scuole materiale criptopornografico o che inneggi all’ideologia omosessualista, oltretutto senza il consenso dei genitori“, disse all’epoca il senatore leghista dopo l’inattesa assoluzione. “Dedico questa vittoria a tutte le mamme e a tutti i papà che vogliono continuare a educare i loro figli liberi da ogni indottrinamento GENDER. La Corte ha ribadito la legittimità del diritto alla libertà di parola e di critica politica di fronte alla censura LGBT“.
Ma Simone Pillon ha forse cantato vittoria troppo presto. Perché la battaglia, prosegue.
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