REAMEREI è il brand emergente italiano fondato nel 2019 dalla trilogy Marzia Geusa, Proxima Krizia e Davide Melis per la direzione creativa.
Li abbiamo incontrati per voi, e ci raccontano di un’estetica tutta loro, di un mondo immaginifico dove attraverso una strana evoluzione tecnologica, esoterica, si celebrerebbe un paradisiaco futuro non-binario; un tripudio verdeggiante di forme aliene vestite in delicati pizzi crochet, fatti proprio come quelli della nonna, di speranze innocenti e profumi perduti.
Il loro progetto è infatti una favola green, ispirata ai sogni d’infanzia non realizzati che si perderanno nella disillusione del tempo, ma che sono destinati a riemergere con forza; le domande riguardanti il futuro e le relazioni tra tecnologia/natura e atomico/anatomico ci portano a intraprendere un percorso come un viaggio eterotopico, attraverso il quale ci ritroviamo a riflettere sul superamento del dualismo di genere, combattendo un’ironica guerra contro il dimorfismo sessuale.
Grazie a forme che ridisegnano il corpo e dettagli inaspettati, Reamerei vuole creare prodotti narrativi e slow fashion, ricchi di riferimenti e costituiti da capi genderless che guardano ad un futuro non binario e spiccatamente punk.
Tutti i prodotti Reamerei, rigorosamente made in Italy, nascono da una meticolosa attenzione alla qualità dei dettagli e gran parte delle collezioni è realizzata con materiali organici rigenerati o riciclati.
Come definireste il DNA del brand?
Sicuramente il DNA REAMEREI è molteplice: da un lato dark e cyberpunk, dall’altro molto childish e leggero. Sicuramente non ha genere, o ne ha diversi.
Quanto c’è di autobiografico nel vostro lavoro?
REAMEREI indubbiamente contiene dei racconti ispirati al nostro vissuto. Essendo non-binary (Davide e Krizia) vogliamo “raccontarci” tramite capi che parlino di corpi in mutazione.
Pensate che il problema dell’inclusività sessuale, etnica ed estetica sia solo una tendenza del momento?
Non pensiamo sia un trend temporaneo, o almeno lo speriamo. Il settore moda sotto quest’aspetto si sta evolvendo dal basso, lentamente, ma lo sta provando a fare nonostante le resistenze. Crediamo sia un’esigenza sempre più forte per le persone, e crediamo che sia solo l’inizio di questo tipo di dialogo. Sappiamo che il momento politico non è dei più favorevoli, ma si respira una decisa volontà nel rappresentare e proporre molteplici punti di vista.
Quanto è difficile essere un progetto indipendente nel panorama italiano?
Non è affatto semplice e forse, come in tanti altri settori, sicuramente anche in quello della moda occorrerebbe un maggiore dialogo generazionale, una maggiore elasticità nel comprendersi.
Nel 2023, è più importante essere originali e commerciali?
Crediamo siano entrambi aspetti importanti, ma soprattutto nell’ambito commerciale sta diventando sempre più importante il concetto di upcycling, a favore di minori sprechi e di un abbattimento progressivo d’inquinamento.
Modelli di riferimento e icone?
Sicuramente Vivienne Westwood ci ha insegnato ad essere liberi. Essendo un progetto che guarda parecchio al mondo camp, icone come Joan Crawford e Bette Davis, ma anche come Moana Pozzi e Ilona Staller, contribuiscono parecchio al nostro immaginario.
Con quale designer italiano vi piacerebbe lavorare?
Il primo brand italiano che ci viene in mente è Missoni, per la continua ricerca nel knitwear. In realtà ci sarebbero anche altri brand ma non sono italiani, e il primo tra questi sarebbe sicuramente Tein Clothing.
Reamerei in una t-shirt dedicata ai lettori di gay.it, cosa ci scrivereste?
“NO. WIRE. HANGERS. EVEEEER!!!”
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