Vola pure il regista, in questo caso. François Ozon, uno dei più eclettici registi francesi, è anche uno dei più prolifici: ha appena vinto il premio speciale della giuria per ‘Le refuge’ al festival di San Sebastian, storia di droga e morte, di un realismo assoluto, lo stesso stile che colpisce all’inizio di questo Ricky – una storia d’amore e libertà in uscita domani per l’ottima Teodora Film, sempre molto attenta al tema della diversità anche omosessuale.
In questa affascinante favola metropolitana, l’angelo non è che un normalissimo bambino nato dall’unione di Katie, che lavora in fabbrica, e il placido Paco, un collega che in passato ha fatto il lavapiatti e l’idraulico in nero. Lei ha già una bambina, curiosa e un po’ monella, Lisa, che rimane ammaliata da questo fratellino che intuisce già diverso da tutti gli altri bambini.
Ma quando a Ricky spuntano sospetti lividi sulla schiena, Lisa si convince che sia Paco ad averlo maltrattato. Solo quando si metterà a volare come un vero aquilotto, lo stile del film si tramuta in fantastico e la dimensione di realismo magico all’Amélie (i produttori sono gli stessi) lo immerge in un’ammaliante atmosfera onirico-ottimista che potrà conquistare un pubblico di adulti come di bambini.
Il bel film, tratto dal racconto Moth (‘Falena’) di Rose Tremain, è anche un’interessante metafora di tutti i condizionamenti dovuti al successo e alla celebrità ("Farebbe anche con me un bambino volante?" si sente dire Paco), e alle pericolose chimere che queste inducono, soprattutto se la notorietà è conquistata improvvisamente.
"Amo molto i ritratti femminili" spiega Ozon. "E volevo esplorare nuovamente il tema della maternità, ma in modo diverso rispetto a uno dei miei primi film, Regarde la mer. In quest’ultimo, due aspetti dell’istinto materno erano raccontati attraverso due donne molto differenti: la madre buona e la madre ‘mostruosa’. In Ricky tali aspetti sono presenti nella stessa madre, Katie, e noi seguiamo la complessa evouzione dei suoi impulsi. All’inizio è come una leonessa, dedita a proteggere il suo piccolo, poi diventa più giocosa, quasi infantile, quasi fosse una bambina alle prese con una bambola. Infine, abbiamo una madre che si confronta con un figlio che ha bisogno di cure e attenzioni, un figlio che dovrà condividere con altre persone e, eventualmente, da cui dovrà separarsi. Nei film, i bambini sono spesso idealizzati, Raramente li vediamo affamati, sporchi o urlanti. Era importante per me che Ricky fosse un personaggio vero, che esprimesse i propri bisogni e le proprie emozioni. Ho diretto il piccolo Arthur Peyret come ogni altro attore, arrivando a parlargli per spiegare cosa volevo da lui. Abbiamo rapidamente adattato i tempi delle riprese alle pause per la pappa e i pannolini. La cosa buffa è che lui ha preso il suo ruolo sul serio e la sua interpretazione migliorava scena dopo scena, al punto che abbiamo finito di girare prima del previsto".
In realtà Ozon aveva già fatto un ‘Angel’, in costume, ma qui è evidente la metafora della diversità come libertà creatrice e indipendente, ispiratrice di fantasie liberatorie e appagante segno di distinzione dalla massa. Memorabile la scena ‘purificatrice’ del bagno nel lago e il finale che fa ipotizzare la possibilità di un ‘Ricky Two’ dopo ‘Ricky One’.
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