Scoprendo il mondo visionario di Boychik, l’intervista

Il primo album dell'artista è un trionfo di vulnerabilità: tra cabaret, teatro, e Fiona Apple.

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boychik intervista
Photography: Matthew Xavier Praley
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Da quando ho ascoltato Boychik la scorsa primavera, non ho più smesso di parlarne.
Le sue canzoni mi hanno accompagnato e fatto compagnia, diventando un porto sicuro per quel genere di emozioni che non è facile articolare ad alta voce. Oggi, Boychik pseudonimo di Ben Levi Ross, songwriter non binary 24enne, è prontə ad immergerci nel suo mondo con un album di debutto in arrivo il 9 Settembre.

boychik intervista
Photography: Matthew Xavier Praley

Natə e cresciutə in una famiglia ebrea di Santa Monica, in California, musica e teatro hanno sempre fatto parte della vita di Ross: tra il 2017 e il 2018 ha recitato al Music Box Theatre nel musical Dear Van Hansen (vincitore di quattro Tony Awards nel 2017 e un Grammy nel 2018 come Best Musical Theater Album) che l’ha portato in un tour nazionale. Nel 2021 ha recitato al fianco di Andrew Garfield nel musical Tick Tick Boom Boom, nominato come Best Motion Picture- Musical or Comedy alla 79esima edizione dei Golden Globe e come Miglior Film ai Critics Choice Awards nel 2022.

Ma Ross sfugge ad un’unica definizione: Boychik è lo pseudonimo di un’artista proteiforme, che cambia ed evolve a seconda delle emozioni che prova, intenzionatə a catapultarci in un universo musicale dalle sfumature imprevedibili: se il singolo d’esordio Dust After Rust è un commovente atto di vulnerabilità, che ripercorre la monotonia e la noia del dolore in uno stato contemplativo e onirico, Bumbed Out Building è un’esplosivo brano indie rock che descrive le gioie e le paure dell’innamoramento, fino al terzo singolo Next To You, ninna nanna che riesce ad essere maestosa, inquietante, e tenera definendosi “una canzone d’amore guidata dall’ansia”. Tre brani ognuno più diverso dall’altro, che aprono le porte ad un disco ricco di sorprese inaspettate, frutto di uno sguardo tutt’altro che ordinario.

Nella nostra intervista ho cercato di conoscerlo di più.

 

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Congratulazioni per la nuova musica. Come ti senti a condividere qualcosa di così speciale e vulnerabile con il resto del mondo?

Provo un sacco di eccitazione anche perché c’è stata parecchia anticipazione. È tutto fatto da me, ogni parte di questo progetto proviene da me. Sono un’artista indipendente, non ho nessun contratto con nessuna etichetta, e ho messo insieme un team, sia sul piano musicale che visivo, composto da amici e persone che amo e di cui mi fido. In particolar modo con i video, chiunque ha investito così tanto tempo e amore a lavorarci. Credo che ognunə di noi ha una chiara e vera devozione in quello che stiamo facendo. È naturalmente anche spaventoso condividere tutto questo, soprattutto quando ogni parte del progetto è così tua dall’inizio alla fine, ma sono tanto emozionatə. Vedo questo primo album come un’introduzione al mondo di Boychik, e sto già pensando a tante mille possibilità e vie che questo progetto può intraprendere ed esplorare sia sul piano visivo che sonoro.

È quasi solo un dito nell’acqua di quello che questo progetto potrebbe diventare. Capisco che parecchi altrə artistə non vogliono rilasciare nulla finché non sono completamente formatə e definitə, ma io personalmente non sono troppo preziosə a riguardo. Ho parlato con i miei produttori e ho detto: “Ma se rilasciassimo l’album?” anche per fare il mio primo passo lì fuori, vedere come questo progetto può interagire con il resto del mondo, e settare la mia posizione nel mondo musicale. Neanche troppo per il pubblico, quanto per me stessə.

A questo punto penso che posso solo che evolvere e fare un po’ tutto quello che voglio.

Ci tengo a farti sapere che ho inserito le tue canzoni. in una playlist rinominata “Canzoni per spiegare alla mia psicoterapeuta come mi sento”. Ci sono artisti che crescendo ti hanno fatto sentire vistə e meno solə?

Probabilmente al primo posto c’è Fiona Apple. È stata un enorme ispirazione per me, non solo come artista, ma anche in quanto persona. La maniera con cui si è fatta strada nell’industria musicale a fine anni Novanta e i discorsi di ringraziamento che ha fatto, come quando ai VMAs del 1997 disse “Questo mondo è una stronzata”. La sua capacità di evolvere negli anni è qualcosa di estremamente figo, perché lei ha ancora lo spirito e l’anima dei suoi primi album, ma si è liberata di tutto quello di cui non aveva bisogno, e penso non puoi chiedere di meglio ad un’artista che sa lasciare indietro qualcosa che non le serve più, e può permettersi di evolvere e cambiare. É stata gigantesca e rimane la numero uno.

Per me, ma credo per chiunque, la propria relazione con alcuni musicisti è incredibilmente personale. Quando sei davvero fan di un’artista, si crea una specifica intimità, e provo lo stesso anche con Rufus Wainwright, Bjork, Nina Simone. Molte volte non si tratta neanche d’ispirazione musicale, ad esempio Erykah Badu fu un enorme ispirazione per me quando ero alle scuole superiori, e la mia musica non c’entra niente con quella di Eryka Badu.

 

 

Come è nato il nome Boychik? Quando parlo con parecchi artisti che tendono ad interpretare altri personaggi, anche ad esempio nel mondo drag, a volte mi dicono: “Questa è la versione di me supereroe” e mi chiedo se è così anche per te? Boychik è un po’ una sorta di alter-ego?

Sì, io recito anche, ho lavorato un po’ sia nel teatro che nel cinema, ma ho voluto che questo fosse un progetto separato, in modo da poter trasformarmi, sia sul piano personale che visivo. Penso che i soprannomi siano come una maschera che puoi indossare e ti permette di essere più vulnerabile rispetto al nome che ti hanno dato alla nascita. Quando mi esibisco come Boychik è come se ci sia questa entità separata che rivela aspetti di Ben che in genere non mi sentirei super a mio agio a mostrare. Mio padre ,e ancor più nello specifico il mio padrino, mi hanno chiamato “boychik” praticamente durante tutta la mia vita. È un vezzeggiativo per definire un ragazzo giovane, ma io sono anche una persona non binaria e questa parola per me funziona. Alcune persone sentono boychik e pensano in automatico ad un ragazzo dolce, altre l’hanno mai sentita prima ma pensano in automatico all’androginia. Avevo in realtà anche altre idee, ma mentre registravo la musica insieme ai miei produttori Jake e Nathan ho proposto il nome in maniera molto vaga, e loro mi hanno risposto immediatamente: “Devi farlo! Boychik vince a mani basse, è perfetto!” e mi son dettə okay, facciamolo!

Il tuo primo album è alle porte. Mi racconti la storia di questo disco? C’è un concept preciso? Parla di esperienze personali o è frutto della tua immaginazione?

Non è proprio un concept album, credo. È un po’ come sfogliare le pagine di un diario. È una sorta di capsula del tempo per me, perché buona parte di questa musica è stata scritta nell’arco degli ultimi cinque o sei anni. Il tema penso sia l’indiscriminata immensità dell’universo, la paura esistenziale unita alla durezza, la pesantezza, e la profondità dell’innamorarsi per la prima volta e perdere quella persona, e come tutto questo sia collegato insieme nei miei primi vent’anni. Ma anche essere queer e fare i conti con la mia identità. C’è anche un po’ di rabbia, rimasta nel mio stomaco in seguito a esperienze del passato, trauma, fallimenti e vittorie. Ogni canzone credo abbia a che fare con un po’ di tutto, ma ognuna ha le proprie personali vibes. 

Amerei creare uno show con una storia e un tema che colleghi tutte queste storie insieme, è un sogno che ho nella testa per quest’album ma non ci siamo ancora arrivati. C’è una forte teatralità in questo album, quasi come le scene di un pezzo teatrale. L’aspetto visivo è importante quanto quello musicale e mentre scrivevo e registravo avevo già idee su come presentarlo. Sono davvero fiero dei video che abbiamo realizzato fino ad ora.

 

boychik intervista
Photography: Matthew Xavier Praley

 Quali altre opere d’arte hanno ispirato o vorresti associare con quest’album? 




Per la canzone Dust After Rust direi Second Symphony di Mahler che in quanto compositore è sempre una grande ispirazione per me (ndr. “What was created must perish. What’s perished will rise again. Cease from trembling. Prepare to live” sono la traduzione inglese della composizione di Mahler).
L’immensità della sua sinfonia mi fa rimanere in ginocchio ogni volta che l’ascolto. Amerei se questa musica potesse funzionare anche con un’orchestra, insieme ad altre sinfonie, con un organo e i più sacri strumenti musicali su questo pianeta. Pur essendo ebreə, sono ispirato dall’aspetto più sfarzoso della religione e la musica che ascolti durante una messa, o il Tempo, o magari a meditazione. Non so davvero se tutto questo traspare attraverso le mie canzoni, ma ho cercato di incorporare elementi d’orchestra il più possibile, anche in canzoni un po’ più rockettare. Ma anche l’atmosfera dei cabaret, dove i cantanti si esibiscono e cantano le loro memorie in un nightclub del Sunset Boulevard.

Cosa vorresti trasmettere alle persone che ascolteranno la tua musica?



Vorrei che provino qualunque emozione sentono di provare. Ascolto molto attentamente gli artisti che amo, e quando rilasciano un album mi tuffo senza aspettative, e mi lascio guidare. Penso vorrei questo per gli ascotlatori: apprezzerei se ascoltassero l’album interamente, dall’inizio alla fine, perché penso sia bello ascoltare la musica con un ordine. Se scelgono di ascoltarlo di nuovo o mai più, va benissimo. Ma spero ci diano una chance: magari avranno una connessione con qualcosa, con tutto, o con nulla, e va bene perché questa musica non è per chiunque. Non faccio la musica accessibile per chiunque, ma penso ci sia qualcosa un po’ per tuttə, perché non ho trattenuto nulla.

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