Taylor Swift, popstar o poetessa tormentata?

Da Charlotte Brontë a Francis Scott Fitzgerald, la musica di Taylor Swift è una biblioteca aperta a chiunque.

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Taylor Swift nel video di 'cardigan' (2020)
Taylor Swift nel video di 'cardigan' (2020)
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Taylor Swift ha due anime dentro di sé: Ilary Blasi o Emily Dickinson. Che si trovi a bordo campo ad esultare per il fidanzato calciatore con l’intero stadio monopolizzato dalla sua presenza  (l’ultimo Super Bowl 2024 ha battuto il record di 123.4 milioni di telespettatori con i riflettori puntati su lei e Travis Kelce), o dentro una capanna tra i boschi con penna, inchiostro e calamaio,  stiamo sempre parlando della stessa persona. Un cortocircuito nel quale neanche i fan sanno spiegarsi come la loro artista preferita riesca ad essere così coatta e profonda in equa misura.

Eppure lei contiene moltitudini (o per essere più precisi: diverse ere). Non fa in tempo a ritirare il (quarto) Grammy per album dell’anno, che già ti annuncia l’undicesimo lp: Tortured Poets Department, in arrivo il 19 Aprile. Non sappiamo sound, concept, e nemmeno produzioni, ma la tracklist è incoerente come lei: da una parte vediamo il feat con Post Malone, rapper che mai ti immagineresti d’incontrare al dipartimento dei poeti tormentati. Dall’altra c’è quello con Florence Welch di Florence + The Machine, cantautrice a metà tra un dipinto di Dante Rossetti e la Fata Morgana.

 

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Negli ultimi anni  Taylor Swift è imprevedibile, e nel bene e nel male c’è sempre il rischio di catfish: Midnights prometteva i tormenti notturni di una ragazza abbandonata in una camera d’hotel anni ’70, per poi rivelarsi (per la maggiore) un album pop pensato più per mandare in tilt l’algoritmo di TikTok, che toccare i nostri turbamenti interiori. Alla luce di questo nuovo capitolo può Taylor Swift, all’apice del suo successo planetario, essere ancora una moderna poetessa? Dipenderà tutto da quale penna sceglierà.

Nel 2022 ha dichiarato di dividere le sue canzoni in tre categorie:

Glitter Gel Pen Songs, canzoni “frivole, spensierate, vivaci, perfettamente sincronizzate con il beat” che non hanno paura di non essere prese sul serio perché già non si prendono sul serio da sole.

Fountain Pen Songs, canzoni che “sembrano confessioni scarabocchiate e sigillate in una lettera, ma troppo brutalmente oneste per essere spedite”.

Quill Songs, canzoni “che sembrano una lettera scritta dalla bisnonna di Emily Dickinson mentre cuciva un centrino di pizzo”

L’ultima categoria risale in particolare al 2020, quando Taylor Swift mise da parte l’autobiografia, per intersecare realtà e finzione in un gioco di autofiction: canzoni su donne che uccidono i mariti e nascondono i corpi, ereditiere che giocano a carte con Dalì e dipingono di verde il cane del vicino, triangoli amorosi tra adolescenti che si spezzano il cuore il tempo di un’estate, proposte di matrimonio finite male, e quant’altro.

In the lakes, ultima canzone del suo ottavo album folklore, Taylor scappa ‘presso i laghi dove i poeti sono andati a morire’. Nello specifico il Lake District d’Inghilterra, distretto che nel XIX secolo accoglieva poeti come John Keats e William Worsworth per scrivere sonetti, meditare in solitaria, e contemplare la natura. Nel brano anche Taylor sogna una vita tra le vette di Windermere, fatta di aurore, prose tristi, piante di glicine cresciute tra i piedi scalzi, rose sbocciate nel terreno ghiacciato e niente Twitter. Tell me what are my words worth chiede nel secondo verso: letteralmente ‘dimmi quanto valgono le mie parole’ ma anche doppio senso e una domanda rivolta al poeta stesso, Wordsworth.

In ivy – decima traccia di evermore, ‘sorella’ di folklore annunciato il 10 Dicembre, anniversario della morte di Emily Dickinson– racconta di una donna sposata che si innamora di qualcuno che non è suo marito, in una casa di pietra, ricoperta di edera. Come la stessa pianta, Swift descrive un sentimento che cresce ovunque, difficile da estirpare, e che rimane sempreverde nel tempo. Il genere dell’amante non è mai specificato, stessa tattica applicata dalla stessa Dickinson per dichiarare il suo amore alla cognata Susan Gilbert (non a caso la canzone ha fatto da colonna sonora all’omonima serie tv che esplora l’amore saffico tra le due).

La perdita – di un amore, dell’innocenza, o della vita stessa – è centrale sia nei testi della cantautrice sia in quelli della poetessa: I had a feeling suo peculiar/ that this pain wouldn’t be forevermore, Swift ripete nell’ultima canzone dell’album. Un testamento alla capacità umana di prevalere sul dolore, che secondo il critico letterario e professore di Romanticismo e Rinascimento inglese, Jonathan Bate, riecheggia direttamente il poema Sue – Forevermore! di Dickinson.

Ma dice anche di ‘lettera spedite nel fuoco’ (writing letters addressed to the fire), come Jane Eyre che scriveva lettere a Mr.Rochester per poi gettarle nel caminetto. Se nel romanzo di Charlotte Brontë, Mr. Rochester dice a Jane che le “sembra di avere una corda, sotto le costole, a sinistra, strettamente, inestricabilmente annodata a una corda analoga situata nella stessa zona del vostro corpo esile” (“I have a strange feeling with regard to you: as if I had a string somewhere under my left ribs, tightly knotted to a similar string in you”), in invisibile string anche Swift dice che lei e il suo amato sembrano connessi da delle corde invisibili: “Isn’t it just so pretty to think / All along there was some / Invisible string tying you to me,” e successivamente “One single thread of gold / Tied me to you.” (“Non è semplicemente bellissimo pensare che per tutto questo tempo c’è sempre stata una corda invisibile a tenerti legato a me?” e “Un singolo filo dorato mi ha legato a te“).

In mad woman canta di una donna che non piace a nessuno perché pazza come Bertha, l’ex moglie di Mr.Rochester rinchiusa in soffitta e considerata da tutti ‘the mad woman in the attic’. Come nel romanzo di Brontë, Taylor ci chiede: era davvero folle o l’avete resa così? (You made her like that)  A forza di chiamarla pazza, lo è diventata davvero? (Every time you call me crazy I get more crazy)

Lo spirito di Jane Eyre ritorna in Dear Reader, ultima sottovalutatissima traccia di Midnights: se l’eroina di Charlotte Brontë usciva dalla pagina per dichiarare al lettore che aveva sposato Mr. Rochester (“Reader, I marry him“), Taylor Swift tenta un dialogo con noi, consigliandoci di non prendere consigli da chi sta cadendo a pezzi (‘Dear reader, when you aim at the devil make sure you don’t miss/ Never take advice from someone who’s falling apart‘).

In happiness augura alla tua nuova compagna di essere una ‘beautiful fool‘, una bellissima stupida proprio come avrebbe voluto Daisy Fay nel Grande Gatsby (che diceva: ‘I hope she’ll be a fool—that’s the best thing a girl can be in this world, a beautiful little fool’). Come nel romanzo di Fitzegerald, Swift spera in una ‘luce verde’ che la perdoni, la stessa che Jay Gatsby aspetta dall’altra parte del fiume, per ricevere un segnale da Daisy. Come Gatsby, Taylor è il sogno americano, la bionda milionaria di cui tutti parlano, con una pessima reputazione, una sfilza di amanti, che dà feste da capogiro dove ci si tuffa in piscina dal balcone e si nuota nello champagne (“Feeling so Gatsby for that whole year” ripete in This Is Why We Can’t Have Nice Things).

Nel 2018  la giornalista Eleanor Spencer Regan ha definito Taylor Swift ‘la nuova Sylvia Plath, dichiarando che nei loro versi, riflettono entrambe sulla percezione esterna della propria immagine, il concetto di doppio, l’urgenza di re-inventarsi per soddisfare chi guarda, e la conseguente rinascita. In poesie come “Lady Lazarus”, “Daddy” and “Electra on the Azalea Path”, Plath rifiuta la sua immagine di ‘tipica ragazza bionda americana’ per re-interpretare i panni di una protagonista che rinasce a oltre le ceneri e vendicarsi contro i suoi oppressori. Se Plath scrive “Dying/Is an art, like everything else/I do it exceptionally well“, Swift in Look What You Made Me Do  risponde “But I got smarter, I got harder in the nick of time/Honey, I rose up from the dead, I do it all the time”. Entrambe le autrici sanno che la loro immagine pubblica ha un prezzo da pagare: non sei più una scrittrice o cantautrice che sublima la propria vita in arte, ma una pazza mangiauomini che sfrutta i propri partner per scriverci canzoni che non verrà mai presa sul serio. Come dice Plath ‘Out of the ash/I rise with my red hair/And I eat men like air‘, o come dice Swift  ‘Boys only want love if it’s torture/ Don’t say I didn’t warn ya’.

Potremmo continuare ad oltranza: da Alice in Wonderland di Lewis Caroll a Pablo Neruda, da Robert Frost fino a Hester Prynne di La Lettera Scarlatta, Romeo e Giulietta, e  Giulio Cesare, Taylor Swift forse non sarà una poetessa, ma le sue canzoni rimangono una biblioteca aperta a chiunque. A frequentarla ci sono i fan più devoti o professori universitari che tengono corsi di laurea a suo nome, mentre lei rimane al centro di sgangherate campagne elettorali, complottismo di estrema-destra, immagini porno deepfake create con l’AI, e comunicati dal Giappone a confermarci che sì, riuscirà a raggiungere il Super Bowl in quattro ore (grazie al suo jet privato che continua ad inquinare). In questo stato di allucinazione collettiva, grandi numeri, e scrutinio maniacale, c’è ancora spazio per la musica?

Perché nelle parole del prof Bate in lei non c’è soltanto  ‘high-class show biz‘, ma la sensibilità letteraria di una moderna William Shakespeare. Speriamo solo di non perderla.

 

 

 

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