Zì Faàmelù è una ragazza transgender di 31 anni che vive a Kyiv. È anche una cantante, tra i concorrenti del noto talent ucraino “Star Factory”. Nata e cresciuta in Crimea – regione del paese già annessa dai russi nel 2014 – Faàmelù oggi, come mille altre persone ucraine, è barricata nel proprio appartamento, mentre il resto della città viene ripetutamente attaccata dalle squadre armate.
Raccontando al CBS News di risvegliarsi al rumore delle bombe, Faàmelù paragona la situazione ad un brutto sogno, come se all’improvviso ogni cittadino si ritrovi intrappolato dentro un videogioco.
Ma la realtà è che Faàmelu è sola in casa, con luci spente e finestre chiuse, e mentre ogni suo amico ha lasciato la città, lei non può andarsene: l’identificazione sul passaporto non corrisponde al suo genere, e se raggiungesse il confine non saprebbe più come tornare indietro.
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La vita di Faàmelù e altre persone trans in Ucraina è sempre stata complicata, ma dopo l’invasione russa le difficoltà sono moltiplicate: “È una guerra dentro un’altra guerra” spiega “Ci sono così tanti tratti fisici riconoscibili – dal mento grande alle spalle larghe. Se vedono il mio passaporto e leggono “uomo”, con il nome assegnato alla nascita, mi considereranno un “uomo travestito” e mi aggrediranno.”
Stando alla legge n.60 del Ministero della Salute, in Ucraina le persone transgender che vogliono far combaciare i propri documenti con la loro identità di genere devono sottostare a specifiche cure psichiatriche e operazioni chirurgiche di riassegnazione del genere. In un’intervista per VICE, Faàmelu lo definisce un processo “umiliante” dove le persone vengono ospedalizzate dentro istituti psichiatrici per una durata di 30 o 45 giorni, sotto gli occhi di 14 dottori che valutano, dall’apparenza fisica a test psicologici, “la validità” della loro transessualità. È l’effetto collaterale di un sistema che continua a considerare essere trans un disturbo, ufficializzato solo attraverso il timbro di qualcun altro, e invadendo costantemente la salute mentale e fisica delle persone coinvolte.
“Non posso lavorare, non posso avere un conto in banca o una patente. Non posso nemmeno finire l’università perché non approvano i miei documenti” racconta a VICE Robert, uomo trans di 31 anni, residente a Kharkiv: “Noi non viviamo, esistiamo solo“. Robert ha trovato supporto presso la campagna LGBTQIA+ Rain Dove, associazione finalizzata a proteggere le persone queer bloccate in Ucraina, che conta già più di 700 persone accolte. Rain Dove spiega che gli uomini trans che si presentano alle autorità con documenti femminili, vengono incitati a restare perché “i veri uomini combattono per il proprio paese”, tra gaslighting e umiliazione.
Nel 2021, The International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans, and Intersex Association ha dichiarato che la richiesta di modificare il protocollo della legge n.60 in Ucraina è stata bloccata, e che le persone LGBTQIA+ nel paese hanno continuato a subire ripetuti attacchi da gruppi di estrema destra: meno di un mese fa e ancor prima dell’invasione russa, il centro LGBTQIA+ di Kharkiv è stato distrutto, tra minacce di morte scritte sui muri e porte ricoperte di feci e pipì.
L’invasione russa – tra le ben note persecuzioni alle persone LGBTQIA+, le sanzioni per ogni “propaganda omosessuale”, e la “kill list” di Putin che include attivisti queer ucraini – non fa altro che peggiorare ulteriormente la situazione delle persone trans ucraine, già prive di tutela o protezione.
“Non so sai se sarai ancora viva domani mattina. Quindi che cosa fai?” dice Zì Faàmelù al CBS News: “Io preferisco danzare in cucina, onestamente. Perché se questi sono gli ultimi minuti della mia vita, voglio festeggiarli. Voglio solo danzare.”
Vi lascio un altro articolo con un elenco di associazioni (anche LGBTQIA+) a cui donare per supportare il paese ucraino: Come aiutare l’Ucraina?
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